Quale relazione deve cercare l'artista con il potere? Quale è il potere dell'artista?
LE COSE COME SONO
Ecco una pagina di Virginia Woolf che fa al caso nostro, credo; vi si fa questione del potere, nello specifico quello del maschile sul femminile con le sue stupefacenti contraddizioni, ma non fa differenza; ciò che conta è sempre comprendere il meccanismo che governa la condizione umana, portarlo in luce, rappresentarlo nella sua verità.
«La vita, tanto per un sesso quanto per l'altro – e li guardavo passare per strada, faticosamente – è ardua, è difficile, una lotta continua. Richiede un coraggio e una forza giganteschi. Più che altro, forse, poiché siamo creature d'illusione richiede fiducia in se stessi. Senza fiducia in noi stessi siamo come i bambini nella culla. E come possiamo generare in noi, nel modo più sbrigativo possibile, questa imponderabile eppure inapprezzabile qualità? Pensando che gli altri sono inferiori a noi. Pensando che possediamo qualche superiorità innata rispetto agli altri. (…) Perciò è così importante, per un patriarca il quale deve conquistare, il quale deve governare, la possibilità di sentire che moltissime persone, la metà della razza umana infatti, sono per natura inferiori a lui. Anzi deve essere questa una delle fonti principali del suo potere. (…)
«Per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell’uomo, raddoppiata. Senza questa facoltà, la terra probabilmente sarebbe ancora palude e giungla. Tutte le glorie delle nostre guerre non sarebbero esistite. (…) I superuomini e i figli del destino non sarebbero mai esistiti. Lo Zar e il Kaiser non avrebbero mai portato le loro corone, e neppure le avrebbero perdute. Qualunque sia il loro uso nelle società civilizzate, questi specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. (…)Questo spiega in parte il bisogno delle donne che spesso sentono gli uomini. E spiega anche perché essi non tollerano la critica della donna. Giacché se la donna comincia dire la verità, la figura nello specchio si rimpiccolisce; l’uomo diventa meno adatto alla vita. Come potrebbe continuare a giudicare, a civilizzare gli indigeni, a legiferare, a scrivere libri, a indossare il tight e pronunciare discorsi nei banchetti, se non fosse più in grado di vedersi riflesso, a colazione e a pranzo, almeno due volte più grande di quanto veramente sia?»
Ma questa osservazione puntuale dell’esistenza, nel groviglio delle sue contraddizioni, è ancora sguardo in superficie; per vedere effettivamente occorre andare oltre le affezioni e i giudizi; occorre che ogni cosa sia disposta parimenti sullo stesso piano.
«Mi accorsi che era assurdo biasimare una classe o un sesso, così nell’insieme. I gruppi numerosi di persone non sono mai responsabili di quello che fanno. Sono mossi da istinti i quali non ubbidiscono al loro controllo. Mi accorsi che anche loro, i patriarchi, i professori, dovevano lottare con interminabili difficoltà, terribili inconvenienti. La loro educazione, per certi aspetti, era stata non meno manchevole della mia. Aveva dato origine in loro a difetti non minori dei miei. Certo, essi hanno il denaro e il potere, ma in cambio debbono dare alloggio nel loro petto a un’aquila, a un avvoltoio, che continuamente rode fegato e polmoni: cioè l’istinto del possesso, il furore di acquistare, che li porta a desiderare le terre e i penny degli altri, perpetuamente: a inventare frontiere e barriere; a creare le corazze e il gas velenoso; a offrire le loro vite e quelle dei loro figli. Passate sotto l’Arco dell’Ammiragliato, o qualunque altro luogo in cui siano stati immortalati trofei e cannoni, e riflettete sul significato di questo omaggio. Oppure guardate, sotto il sole primaverile, l’agente di Borsa o il grande avvocato che entrano nei loro uffici, per fare del denaro, e più denaro, e più denaro ancora, quanto è ovvio che cinquecento sterline all’anno vi fanno vivere benissimo alla luce del sole. Dare alloggio a questi istinti è molto spiacevole, pensavo. Essi sono una conseguenza delle condizioni della loro vita; della mancanza di civiltà, pensavo, guardando la statua del Duca di Cambridge, e in special modo le piume del suo altezzoso cappello, con una fissità che poche volte esse avranno meritato. E a misura che cominciavo a capire questo inconveniente, la paura e l’amarezza diventavano compassione e tolleranza; e poi un anno o due dopo, anche la compassione e la tolleranza scomparirono, e apparve invece il più grande sollievo di tutti, cioè la libertà di pensare le cose come sono».
(da Una stanza tutta per sé)
Raggiungere lo stato interiore di libertà che consente infine di «pensare le cose come sono»: è questo l’insegnamento prezioso di Virginia; non come ci s’immagina che le cose siano, non come si vorrebbe che fossero, ma come la necessità impone che siano, di situazione in situazione, di tempo in tempo. Si tratta di capire la natura del potere che si esercita: il potere dell’arte nel nostro caso; e la natura del potere che si subisce: quello che da sempre, inevitabilmente condiziona dall’esterno in forza di fini propri. «Pensare le cose come sono» vuol dire collocarsi col pensiero esattamente nel punto in cui i due poteri vengono a contatto; di lì, dal confronto e dallo scontro, si genera la visione, se lo spirito è libero. Una visione che va oltre lo scontro e perciò non esso rappresenta, ma le cose viste reali.
* Studioso, docente di Storia del cristianesimo antico presso l'Università di Firenze