Quale è il rapporto fra teatro e pubblico?
Ho scelto forse troppe domande per una riflessione che deve essere breve, ma mi piace l'accumulazione e non riesco a scollegare aspetti che sono intrinsicamente uniti. Continuo a mettere le mani avanti dicendo che da due anni vivo e lavoro felicemente all'estero ed ho scoperto che è facilissimo perdere la contemporaneità del sentire di una comunità, di un contesto professionale, quando non lo si vive.
Le domande su cui ho scritto queste righe riguardano il tema del rapporto tra festival e pubblico, sulle modalità di fruizione e quindi sul rapporto programma pubblico. Poi però comunque divagherò un po'.
La domanda che mi faccio, la prima, è chi si vuole che partecipi al festival e come, con quali strumenti e con quali idee.
Nel cercare di darmi una risposta, voglio evitare di ricorrere a termini che sono stati molto usati, soprattutto fra gli addetti ai lavori, e che forse si sono un po' svuotati del loro senso originario. Quindi eviterò di usare termini come popolare (teatro, festival), ricerca (teatro di), festa, formazione del pubblico, e dirò alcune cose forse banali, ma spero concrete.
Credo che l'obiettivo di tutti sia di fare partecipare al festival più gente possibile, di qualsiasi estrazione e di qualsiasi provenienza.
Il livello di accessibilità, in termini sia di ambiente, sia di programma, sia di comunicazione, dovrebbe concedere le più ampie possibilità e capacità di attrazione. Questo significa che anche il contenuto artistico del festival deve essere adattato a questa necessità. Per riuscire in questo intento bisogna costruire molte azioni diverse, tanto diverse sono le motivazioni che possono spingere una persona a muoversi e a vivere una o più giornate del festival.
Scegliere questa linea significa assumersi la responsabilità e la coscienza dell'intelligenza dello spettatore, della sua curiosità, scendendo alcuni gradini nelle proprie certezze intellettuali e salendone altri nell'acquisizione di una maggiore apertura artistica.
La costruzione dell'ambiente, del contesto in cui si svolge il festival, è il primo approccio diretto al festival da parte delle persone; credo nella semplicità e nella facilità di accesso e di presenza: l'aspetto conviviale unito a musica e spazi di incontro nei luoghi di spettacolo, la molteplicità delle visioni potrebbe essere d'esempio per un restyling dell'ambiente fisico, dove immagini, musica, performance piccole e grandi, per piccoli e per grandi, potrebbero costituire un tessuto di partecipazione/visione non obbligatorio ma di “felice partecipazione” per gli spettatori e potenziali spettatori.
Il contenuto artistico del festival dovrebbe contribuire alla “felice partecipazione” del pubblico, costruendo una fiducia crescente da parte degli spettatori nelle scelte del festival stesso, attraverso un duro e raffinato lavoro di ricerca (in ambito nazionale e internazionale), una selezione e quindi una presentazione di progetti teatrali che garantiscano una importante qualità, spettacolarità, novità nei linguaggi, secondo le opinioni della direzione artistica ovviamente, secondo il ruolo che il festival si vuole dare nel contesto nazionale e internazionale e naturalmente secondo il budget disponibile. Credo che sia inutile e irrispettoso della storia del festival inseguire i “grandi nomi” internazionali, ma credo di più nel lavoro costante di ricerca e di alleanza con festival comparabili nelle intenzioni artistiche.
Ma qualunque sia la direzione artistica del festival, credo che valga ancora e ancora di più un principio che è stato alla base del mio personale percorso professionale, condiviso con tutto il Css di Udine per moltissimi anni. La necessità cioè di porsi nella selezione e nelle modalità di ricerca, come “primo spettatore”, non dimenticando mai di dover stare con un piede in due scarpe, un'attenzione forte alla qualità del progetto e un'altra altrettanto forte, chiara e senza infingimenti, alle necessità e possibilità dello spettatore. Non è solo recuperare lo sguardo del bambino, è soprattutto non smettere mai di chiedersi “perché?” di fronte a una scena, a uno spettacolo e riuscire a darsi una risposta, anche non semplice, sapendo che può succedere all'opposto di non trovare quella risposta.
La costruzione di una parte di programma di cui si conosce compiutamente il contenuto (che non significa privo di rischi artistici, ma di consapevolezza totale degli spettacoli presentati) oltre a garantire una piena responsabilità della direzione artistica sul programma, negli anni può portare naturalmente una corresponsione in termini di fiducia e di partecipazione al programma da parte del pubblico.
Insieme a questa parte di programma può e deve svilupparsi un ambito di “laboratorio creativo”, che sarebbe interessante vedere sviluppato in un contesto di relazioni tra esperienze diverse. Ma anche in questo caso dando un senso al ruolo del festival, che potrebbe essere a mio avviso di costruzione di esperienza per le più giovani generazioni di artisti e di investimento del festival stesso su alcune di esse. Quando parlo di un contesto di relazioni intendo pratiche di tutoraggio, di sostegno su aspetti artistico produttivi (drammaturgia, costruzioni sceniche, musica, movimento) che si realizzano grazie al festival, il quale permette la realizzazione di “sogni”, ovvero di collaborazioni artistiche altrimenti difficili da realizzarsi, sia in ambito nazionale che internazionale.
Questa combinazione credo si possa realizzare solo grazie a una stretta collaborazione nella direzione con uno o più artisti direttamente coinvolti nelle scelte del festival, secondo un modello già sperimentato, seppure in modalità diverse, da diversi festival europei. La solidarietà nella direzione tra operatore e artista è forse l'aspetto più interessante da cui può scaturire una linea originale e riconoscibile per gli spettatori e per gli operatori. E' sicuramente il rischio di partenza, ma è anche una potenziale forza di vivacità e attualità nelle scelte artistiche.
In conclusione credo si debba inseguire la semplicità (di accesso, di presentazione, di comunicazione) senza tradire la curiosità degli spettatori e la complessità dei linguaggi.
* studioso e operatore, ex presidente di Css stabile del friuli venezia Giulia