Di chi lo fa e di chi lo vede. Lo dico alle compagnie, ai colleghi registi, agli attori. Non dimentichiamoci questa seconda parte della risposta: il teatro è anche di chi lo vede. Soprattutto: il teatro non è di chi lo compra. Direttori di teatri e festival, nonché i critici ci con la penna rossa, si sono spesso trasformati in vestali dell’ortodossia, sentinelle del gusto e del giusto. Io credo che questo abbia fatto male al teatro. Noi dobbiamo togliere potere a queste figure, a quelle che comprano “il progetto”, “l’operazione”, “l’idea”.
Il teatro non è “un’operazione”. Il teatro è altro: è la capacità di creare rapporto tra la scena e il mondo. Chi compra “le operazioni interessanti” ha perso di vista la sostanza del teatro e ha smesso di guardare con cuore e cervello liberi a questa elementare magia con cui un artista (sia drammaturgo, regista, attore, scenografo, ecc) cerca di abitare la scena mettendosi in dialogo (ascoltare/dire) col mondo, in un’altra parola, col pubblico, e quindi con le domande che sente intorno a sé. L’ho già detto sopra: io credo che il teatro sia stato rovinato da chi è andato a cercarci dentro “le idee” che alleviassero la propria noia, qualcosa che fosse fresco, buffo, intellettuale, oppure titillasse le proprie fissazioni, passioni, preferenze. Spesso le compagnie sono andate dietro a questa tendenza. Paradossalmente lo hanno fatto e lo fanno soprattutto i giovani o anche i semi-giovani come me (io anche l’ho fatto). Credo che accada a causa del desiderio di esprimersi e per colpa della disperazione. È più facile assecondare i desideri dei “potenti” che tracciare la propria strada. Ma il teatro, secondo me, c’entra poco con questa roba qui.
Il teatro è prima di questo e dovrebbe poter vivere senza questo: il teatro è nella fiducia di un artista di andare in scena per incontrare parole e gesti vivi, fare azioni che smuovano innanzi tutto se stesso, che lo tengano vivo, aperto, salvo, il teatro è nel desiderio di uno spettatore che si mette davanti a uno spettacolo con la speranza di essere cambiato, purificato, sollevato da terra, scosso e poi ributtato giù. Tutto questo è qualcosa. Se non altro è l’origine del teatro, ma io credo resti anche la sua carica più eversiva e contemporanea. Il resto è la noia che ha dimezzato il pubblico del teatro, che lo ha tolto dalle pagine dei giornali, l’ha messo fuori dal dibattito politico (sentite mai un politico importante che parli di noi?), in poche parole: ha rotto il rapporto tra teatro e mondo e ha fatto del teatro un territorio per pochi, di nicchia, e perciò governabile – e dunque governato - da un’oligarchia di annoiati compratori e compiaciuti commentatori.
Ditemi quanti direttori di teatri o festival conoscete che vi sembrano persone davvero vive, curiose, aperte, attente, umane? Io credo di poterli contare sulle dita di una mano, forse di due. Ed è un peccato: perchè le qualità di cui sopra sono essenziali a chi “compra” il teatro.
Si sarà capito: io credo che il teatro esiste solo se torna a guardare più in là di se stesso; se chi scrive e pensa il teatro (i drammaturghi, i registi) si decide a sturarsi le orecchie e ad aprire il naso per tornare a dirci chi siamo e dove stiamo andando; se chi entra dentro la scena smette di ascoltare il vuoto rimbombo della sua voce e si fa di nuovo carico di tutto il coraggio e di tutta la fragilità che sono il suo mestiere; se chi promuove e organizza i festival e le rassegne capisce che il suo lavoro non è gestire potere ma trasmettere energia alle compagnie, ai pubblici, ai politici, con cui entra in contatto; se chi scrive del teatro (i critici) lo fa mettendosi in un angolo, senza sapienza, soprattutto ascoltando e poi provando a tracciare, per chi lo legge, strade e percorsi dentro il mistero del rapporto tra scena e mondo, lasciando da parte potere e intelligenza, che al teatro non fanno bene.
Il teatro sta nel mezzo, non è una proprietà da esibire, né un potere da consolidare. Il teatro è di chiunque lasci il suo posto e faccia un passo avanti verso quello che non conosce già, con la curiosità e le speranze accese.
* Regista delle compagnia Capotrave, direttore artistico del festival Kilowatt di Arezzo