Appunti per Santarcangelo
La festa teatrale marca gli anni di piombo. Santarcangelo 178-1980. Festa per non morire. Ultima possibilità per gridare che l’immaginazione poteva ancora aspirare a creare dei propri luoghi dove dispiegarsi.
In realtà il ’78 era già tutto avvenuto e tutto finito nel ’77. Lo slogan più lucido di quegli anni, dove l’illusione della rivoluzione finì definitivamente nella repressione e nel terrorismo, fu lanciato su un numero di “A/traverso”: “La rivoluzione è finita, abbiamo vinto. Fu polverizzata l’illusione (continuo a ripetere questa parola) nella collettività, fu riscoperto un individualismo che avrebbe portato lo sfascio della droga e dell’Aids, le avventure terroristiche, il rampantismo, il ritorno nei ranghi, il marginalismo, il trionfo della società dello spettacolo e l’appannarsi della realtà.
Santarcangelo 78-80 fu l’ultima festa, l’ultima illusione di una città trasformabile (ci avrebbero poi pensato le banche e la speculazione a mutarla), di uno spazio pubblico, reale e fantasmatico insieme, dove individuale e collettivo, personale e sociale si incontrassero e potenziassero reciprocamente.
Festival dei gruppi, Santarcangelo ’78, da cui emergerà una figura forte di direttore artistico, festival della città che dà spazio agli artisti, che migrano a Santarcangelo (Teatro di Ventura), salvo poi riprenderselo quando quelli non soddisfano i desideri della città, o forse dei politici che la città governano, che, forti del voto popolare, si sentono investiti di compiti di controllo, di indirizzo, di sviluppo (spesso in termini di pubblico, presenze, turismo) che entrano spesso in contrasto con le visioni degli artisti e dei professionisti dello spettacolo.
Festival degli artisti e festa della politica: queste le linee in tensione ravvisabili in questi trent’anni, in forme diverse, in modo costante. Con una nota tutta romagnola: sembra che ogni 2/3/4 anni si debba cambiare tutto l’arredamento del locale (bar, discoteca, albergo, bagno) per tenere dietro alle tendenze, per attirare pubblico.
Niente di male. Forse con il teatro non funziona così: le “imprese” più incisive sono quelle più storiche, sedimentate, basate su un gruppo di lavoro stabile e affiatato: il Teatro d’Arte di Stanislavskij, Strehler Grassi, Kantor, Grotowski, Ronconi e i suoi collaboratori, il Théatre du Soleil, i gruppi teatrali italiani, e poi festival comeil Kunsten di Bruxelles, come il festival d’Automne di Parigi, Avignone…, tutti luoghi di una continuità , di un lavoro quotidiano che consente i salti.
Un festival è una festa, è una storia, è un'innovazione.
"Rilascio lento"
I festival oggi sono in crisi. Forse perché in Italia non siamo più capaci di fare le cose semplici: inventare uno spazio insieme quotidiano, annuale, e festivo, straordinario; riflettere sulle belle tradizioni, conservandole senza reverenze e guardando al futuro, preparandolo; riconoscere il nuovo, farlo crescere, accompagnarlo; essere popolari senza diventare banali, difendendo i diritti dell’arte e credendo che essa si può condividere con molti, non solo con i pochi iniziati; essere capaci di vedere i fiori che sbocciano sotto casa e di guardare ai grandi fenomeni più o meno lontani, in Italia e all’estero; creare reti, tra operatori, intellettuali, artisti e spettatori, tra artisti che di solito non si parlano e che molto spesso si sparlano.
Tutti i giorni ci lamentiamo per una situazione economica, politica, normativa sicuramente insostenibile e non ci affranchiamo davvero da essa provando a mutarla. Siamo tutti schiavi, perlomeno mentalmente, di una politica di basso profilo che scade in interessi o formalismi e dimentica la polis. Tutti lo sappiamo, ma siamo pronti a venderci per compiacere un assessore e ad alienare l’anima per una poltroncina.
Un festival è una festa, qualcosa di diverso dal teatro abituale, che si rivolge a una comunità, almeno sognata, se non (più) reale: i festival sono nati così e la parola festa è contenuta nella parola.
Un festival è una storia che non si può dimenticare, una trentottesima edizione preceduta da 38 anni di sogni, di scontri, di relazioni.
Un festival deve essere un luogo di innovazione.
Un festival è una quadratura difficile in un Paese come il nostro, dove la festa è solo sbracatura paratelevisiva, dove la storia è dimenticata o è diventata gerontocrazia, dove per innovare bisogna emigrare.
I festival oggi sono impossibili in Italia?
Sicuramente sono in profondissima crisi, perché non esiste (più?) una società che possa rispecchiarsi, odiarsi, mettersi in crisi nell’arte, nel teatro. La società si sgretola, si dissolve, e i festival rimangono, nei migliori dei casi, luoghi di marginalità volenterose e poco efficaci.