Video Dance (Moving Virtual Bodies) è un progetto che coinvolge operatori, esperti di danza, docenti, giovani artisti e pubblico italiani in un dialogo aperto con la realtà internazionale attiva in quel settore della danza contemporanea che si intreccia alla video-arte. Sostenuto da Anticorpi XL Network e dal British Council e curato da Roberto Casarotto (Operaestate) insieme a Gitta Wigro (già responsabile della sezione video del The Place Theatre di Londra e curatrice di numerosi festival di video-danza nel Regno Unito e in Australia) ha l’obiettivo di incrementare la cultura della video-danza nel nostro paese e di farlo soprattutto creando significative occasioni di incontro e confronto tra soggetti differenti che possano, sinergicamente, alimentare la ricerca in un ambito artistico ancora poco sviluppato. Abbiamo ascoltato le voci di alcuni protagonisti del progetto-pilota che avrà, almeno nelle intenzioni, uno sviluppo pluriennale. Grazie alle testimonianze raccolte, abbiamo stilato una cronaca-memoria dell’avvenimento da cui emergono gli esiti concreti dell’operazione e affiorano opinioni e commenti attorno ai suoi “punti di forza” e ad alcune sue, fisiologiche, “debolezze”.
Il progetto nasce da un’idea iniziale di Casarotto, realizzata nel 2006 con la consulenza della Wigro, che prevedeva la circuitazione di un programma di film di danza in alcune città del nord Italia già interessate a eventi di carattere performativo e intenzionate a allargare lo spettro dell’offerta culturale rivolta al proprio pubblico. «Il tour fu un successo» – afferma la Wigro - «e Casarotto mi invitò a programmare un secondo tour nel 2007. Pensammo inoltre che potesse essere una buona idea aggiungere una anche dimensione laboratoriale al progetto e quindi l’anno seguente offrire non solo un programma di visioni, ma anche la possibilità agli artisti delle regioni coinvolte di esplorare la forma della video-danza in un workshop».
Operaestate Festival Veneto, Teatro Comunale di Ferrara, Associazione Cantieri, Amat e Riccione TTV Performing Arts on Screen hanno, dunque, promosso l’evento che ha avuto luogo dal 10 al 20 dicembre 2007 e ha assunto una forma itinerante, articolandosi per dieci giorni tra cinque città: Ferrara, Rimini, Civitanova Marche, Ravenna e Bassano del Grappa. Lungo queste tappe è stata presentata una selezione di diciotto “film di danza” provenienti da tutto il mondo, ed è stato parallelamente organizzato un laboratorio di formazione per coreografi, danzatori e videomakers, alcuni dei quali totalmente digiuni da quelle esperienze di creazione che fondono linguaggi diversi, tra corpo e immagini in movimento. Proprio allo scopo di fornire stimoli e di colmare eventuali lacune, sono stati coinvolti dei docenti che hanno integrato il percorso di formazione - coordinato dalla Wigro nella sua parte pratica - con momenti di approfondimento teorico e riflessioni attorno ad oggetti artistici “ibridi”, video già noti e premiati, e anche attorno alle produzioni “di prova” realizzate dagli studenti stessi. L’esperienza si è conclusa con l’assegnazione di un premio, la possibilità cioè di produrre un piccolo film di danza che sarà poi presentato nell’ambito del TTV festival 2008. «Il progetto infatti» – afferma Casarotto – «prosegue grazie al sostegno offerto a tre degli artisti coinvolti che possono ora realizzare uno step ulteriore nella loro ricerca, la realizzazione di un corto, grazie al sostegno e alla disponibilità di Fabio Bruschi».
Video Dance (Moving Virtual Bodies) ricorre a un incontro-scambio con la realtà internazionale per promuovere lo sviluppo della video-danza in Italia. Nelle proiezioni, articolate in due appuntamenti per ogni città, si è cercato di introdurre l’audience proponendo “un assaggio” dei diversi approcci e delle diverse produzioni già in circolazione. Gitta Wigro ha selezionato e presentato, nello specifico, dei film - tra cui The Cost of Living di Lloyd Newson, Elyas di Katy Pendlebury e Gold! di Rachel Davies - che rispondono a differenti criteri: a) integrità della coreografia e della performance; b) uso intelligente, efficace e immaginativo del medium filmico; c) accessibilità di brevi film basati sul movimento a un pubblico nuovo; d) diversità dei soggetti ritratti. «Nelle due serie di proiezioni ho poi distribuito i diversi esempi per mostrare la varietà degli oggetti che costituiscono il panorama della video-danza nel mondo: nella prima ho mostrato quelli “narrativi” (che guardano alla capacità del movimento di caratterizzare un personaggio); nella seconda ho mostrato i video dove appare una danza più “formale” che, nelle performance live, manifesta la relazione del corpo con lo spazio. Nella danza in video si espandono le possibilità della coreografia e si include il movimento in una cornice, il movimento della camera, su cui interviene il montaggio per cui il risultato finale è indipendente dalla preparazione tecnica del danzatore. Entrambe le proiezioni investigano temi molteplici, allo scopo di essere accessibili a un pubblico indifferenziato, ma includono allo stesso tempo alcuni lavori che sfidano le abitudini di chi conosce la danza, la coreografia e la video-danza».
Guardando alla florida produzione di video di danza su scala mondiale, inevitabile è una riflessione su quella che è la situazione nel contesto italiano, dove emergono urgenze e difficoltà assai profonde, che non si limitano a questo ambito di ricerca. Susanne Franco (docente di studi di danza invitata a partecipare al progetto con una lezione sul pluripremiato film di Lloyd Newson) sottolinea, infatti, che: «Il mondo della video-danza in Italia ha dimensioni non paragonabili con altre realtà estere, e a monte il problema è che il mondo della danza contemporanea tout court è estremamente circoscritto. Manca un centro nazionale di formazione professionale, mancano i fondi per fare circuitare non solo le compagnie italiane ma anche quelle estere, e non soltanto all'interno di festival e rassegne, ma nei programmi dei teatri stabili. In entrambi i casi mi auguro che le sinergie con le realtà estere vengano potenziate e che in primis gli artisti (danzatori, coreografi, videomaker ecc) provvedano alla loro formazione varcando i confini nazionali e potenziando le loro conoscenze linguistiche, che spesso non sono all'altezza di un confronto reale con i colleghi stranieri».
Le carenze strutturali che si riverberano nella qualità della formazione degli artisti sono gravi: «Manca»- continua la Franco - «un centro nazionale paragonabile a quelli esteri (penso al ruolo del Centre national de la danse, per fare un unico esempio); d'altro canto le realtà, anche se di grande valore, sparse nel territorio agiscono spesso in modo poco coordinato (salvo i casi di particolari sinergie tra regioni, e i progetti pilota in questa direzione hanno dato e stanno dando risultati più che incoraggianti) e organico (proponendo solo la formazione ma senza valutare le reali esigenze del mercato o viceversa)». In Italia, nel campo specifico della video-danza, si ravvisa un evidente “analfabetismo” legato all’uso del linguaggio audiovisivo in relazione alla danza poiché spesso i due universi artistici rimangono estranei l’uno all’altro: pochi sono i videomakers professionisti curiosi e appassionati di danza così come, al contrario, pochi sono i coreografi e danzatori davvero competenti nel campo della produzione video. È quindi innanzitutto necessario formare nuove figure professionali in cui competenze tecniche e artistiche di entrambi i campi interagiscano per garantire un alto profilo qualitativo del lavoro.
Video Dance (Moving Virtual Bodies) compie un primo passo proprio in questa direzione, cercando di creare occasioni di incontro e discussione tra artisti dell’uno e dell’altro ambito sotto la guida di esperti, critici e storici. Il laboratorio che si accosta alle proiezioni, quindi, nasce con l’intento specifico di «offrire agli artisti di diverse regioni italiane l’opportunità di esplorare la forma della video-danza»- sottolinea la Wigro - «e di avviare una sistematica attività di formazione di artisti del settore, da radicare nel territorio». «Si è dunque data ai partecipanti (cinque coreografi e cinque video maker, coinvolti rispettivamente da ogni soggetto promotore) la possibilità di fare esperienza di questo tipo di lavoro, di sperimentare praticamente i processi alla base della creazione di video di danza, offrendo loro una serie di strumenti, approcci ed estetiche possibili da far proprie nei loro futuri progetti. I giovani artisti hanno potuto prendere parte, quindi, a un percorso intensivo che ha permesso loro di assumere consapevolezza della storia dei generi di video-danza più rilevanti e soprattutto di imparare a lavorare con gli altri, a collaborare, valorizzando ognuno le proprie abilità. Nel laboratorio, per entrare nel dettaglio, le proposte ruotavano attorno alle seguenti questioni: a) exploring the meeting point of choreographic and filmic processes; b) movement on camera; c) the frame; d) sound; e) collaboration, working with different people». Riassumendo l’andamento dell’intero percorso formativo, la Wigro conclude positivamente affermando che i diversi gruppi hanno imparato gli uni dagli altri, si sono dimostrati aperti all’esperienza e soprattutto partecipi nelle sue fasi operative e creative. La parte più teorico-critica sembrava riscuotere meno successo ma ne è stata comunque riconosciuta l’importanza: «Allenarsi a una riflessione critica, infatti, è assai utile per realizzare concretamente le proprie suggestioni creative, le proprie idee».
Invitata a seguire l’intero progetto con lo sguardo attento e lucido del critico-osservatore, Piersandra Di Matteo conferma la complessità delle questioni trattate nel corso del workshop in relazione all’interazione tra video e danza: dalle suggestioni più precisamente cinematografiche alle problematiche di tipo ritmico di un montaggio che diventa immediatamente coreografia, gli incontri hanno lanciato stimoli interessanti e molteplici. E tuttavia non sempre accolti con la medesima curiosità e profondità di sguardo data la diversità dell’esperienza professionale degli artisti coinvolti, che per poter far fruttare al meglio le possibilità del progetto avrebbero dovuto aver già maturato una loro personale poetica e presentare quindi un alto profilo professionale. La diversità ed eterogeneità dei partecipanti, in particolar modo tra i videomakers, se da un lato ha arricchito il gruppo dall’altro ha necessariamente creato dinamiche relazionali complesse e troppo differenti livelli di attenzione e interesse rispetto agli argomenti affrontati.
Anche la Franco rileva questa difficoltà: il progetto, pur avendo «offerto un’occasione più unica che rara di ricevere una formazione in un ambito spesso trascurato nei percorsi didattici (anche all'interno dei corsi di laurea in cui avrebbe senso immaginarlo tra gli insegnamenti fondamentali), presenta un punto di debolezza in questa prima edizione nell'individuazione di un'utenza non omogenea nella preparazione di base. Per le edizioni successive suggerirei di trasmettere la notizia del corso a mezzo stampa (riviste specializzate di danza e arti visive) e nel network dei corsi universitari in cui sono attivati insegnamenti affini, in modo da garantire un'utenza maggiore in termini quantitativi, e da cui selezionare un gruppo il più possibile omogeneo sul piano della formazione culturale e tecnica (richiedendo per esempio un minimo di conoscenze specifiche).
Un'alternativa potrebbe essere la presenza di due gruppi distinti e dunque di due livelli (principiante e avanzato) che lavorino in parallelo con qualche momento di scambio e incontro. Con un unico corpo docente (e dunque con costi solo lievemente maggiori ma non doppi) si potrebbe così formare il doppio di artisti e creare sul lungo periodo una vera e propria ‘ondata’».
Ovviamente anche dal lato degli artisti coinvolti il punto dolente di un’esperienza per lo più interessante è consistito proprio nella diversità dei percorsi formativi di ciascuno: «A volte ho potuto condividere qualcosa altre volte era impossibile, come sempre accade» - racconta Anna Biagetti, videomaker di Ferrara – «di solito dipende dagli stimoli che i vari relatori riescono a dare ai partecipanti e dalla capacità di questi ultimi di mettersi in gioco. Il problema in questo caso specifico, secondo me, era a monte: risultava molto chiaro che la scelta dei partecipanti era avvenuta casualmente. Così puoi essere molto fortunato come perdere un sacco di tempo. Vale la pena tentare, no?».
Decisamente vale la pena tentare, soprattutto con progetti sperimentali come questo che, se non altro, hanno il merito di aprire la strada e di creare relazioni e incontri sempre proficui, anche se forse non nell’immediato. Pur non negando gli incidenti di percorso (preziosi suggerimenti per le edizioni a venire) va tuttavia ricordato che la qualità di un’esperienza di formazione e ricerca rimane fondamentalmente soggettiva e variabile. Molteplici e complessi sono gli aspetti da considerare: le aspettative e le sorprese sia degli artisti che degli operatori, gli incontri con i diversi interlocutori, il confronto con l’esperienza britannica, e ancora la vera e propria ricerca con tutte le difficoltà di un processo creativo condiviso. Le questioni aperte rimangono numerosissime: rispetto all’oggetto in questione, la video-danza, registi e coreografi dovranno chiedersi se si tratta di cercare un nuovo linguaggio o far dialogare due universi autonomi, di narrazione o di pura ricerca sull’immagine in movimento.
La sfida, in una progettualità ampia e lungimirante, rimane quella di creare numerose e durature occasioni in cui lanciare i semi dello sviluppo della video-danza; per farlo occorre intervenire nella formazione di artisti e pubblico, nonché di operatori e critici, esperti che vengono ad assumere un doppio ruolo di guida e interlocutori. «Le occasioni utili allo sviluppo della ricerca in questo ambito vanno moltiplicate» infatti - afferma Fabio Bruschi direttore di Riccione Teatro - «con investimenti a lungo termine per la creazione e il rafforzamento di reti cooperative italiane e internazionali» in sinergia con le istituzioni locali. D’accordo anche Marino Pedroni che, riferendosi al Teatro Comunale di Ferrara, dice: «Teatri come il nostro potrebbero creare le condizioni per far incontrare i giovani videomakers con coreografi e artisti presenti nella nostra Stagione di danza, sia nel momento della prova che in quello dello stage che in quello di spettacolo. E’ inoltre necessario moltiplicare i legami con il mondo dell’università e dei giovani artisti della città». E continua: «Progetti come questo rispondono alla necessità di sviluppo di un settore della ricerca (…) e alla necessità di formare un nuovo pubblico trasversale ai generi dello spettacolo dal vivo e in stretta relazione con altre forme d’arte. Si contribuisce così alla missione che gli operatori della cultura hanno oggi in Italia di riprendere nel nostro paese un serio lavoro di informazione culturale, di critica teatrale».
Anche Susanne Franco insiste su questo tema fondamentale, accennando ad un’analisi ben più profonda: «Per quanto riguarda la formazione del pubblico la questione è legata in primis alla drastica riduzione delle pagine dedicate alle recensioni e agli approfondimenti nelle testate nazionali e locali, e alla debolezza culturale delle riviste specializzate ancora attive. Sarebbe auspicabile che la prossima generazione di critici avesse alle spalle una formazione specifica e solida e non fatta sul campo, come è avvenuto in passato. Questo aiuterebbe non poco a diffondere la cultura di danza e a far affezionare il pubblico anche alla danza contemporanea».
Proprio per raggiungere tali obiettivi andrebbero considerate le possibilità di diffusione della danza e della video-danza anche attraverso piattaforme diverse e, perché no, generaliste: come auspica Fabio Bruschi «dato il panorama distributivo non promettente e l’estrema poliedricità del mezzo, sarebbe interessante poter collaborare con programmi e contenitori televisivi: penso a trasmissioni come “Palcoscenico”, su Raidue, ma anche a conduttrici come Serena Dandini o Milena Gabanelli che in diverse occasioni hanno inserito artisti (da Davide Enia a Marco Paolini) nelle loro redazioni o ancora a contenitori più specializzati di arte contemporanea. In Catalogna sono già alla seconda stagione una dozzina di programmi televisivi che mandano in onda in seconda serata video di danza internazionali e catalani, di cui spesso sono anche coproduttori. Mi augurerei che, prima o poi, anche in Italia fosse possibile creare una formula simile di programmazione catturando e promuovendo quei caratteri specificamente italiani che i giovani autori già presentano. Anche nella tappa finale del progetto Video Dance (Moving Virtual Bodies) ho visto se non “oggetti” completi sicuramente “appunti” di lavori artisticamente originali e già contraddistinti da un’interessante impronta autoriale. I giovani talenti, anche sconosciuti, devono poter essere sostenuti grazie a premi “maieutici” che contraddistinguono, come premessa di metodo, l’intera attività di Riccione Teatro».
Alla luce di ciò che emerso si può dire che Video Dance (Moving Virtual Bodies) è un progetto che risponde a necessità reali del contesto italiano, e che andrebbe quindi replicato per la sua capacità di far agire sinergicamente diversi soggetti sul territorio. Come abbiamo visto, interviene soprattutto nell’ambito della formazione degli artisti ma auspica uno sviluppo dell’intero mercato della video-danza, dalla ricerca alla produzione, fino alla possibile distribuzione. Proprio per questo si presenta come progetto-pilota capace di aprire la strada ad altre iniziative affini e complementari che sulla sua scia potrebbero davvero iniziare un processo di cambiamento nella situazione stagnante in cui versa la danza italiana.
Siti web delle strutture coinvolte:
http://www.teatrocomunaleferrara.it