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APPROFONDIMENTI / DANZA > Danza e televisione

Come testimonia il nome stesso, la videodanza unisce due modalità di comunicazione radicalmente diverse, quelle dell'audiovisivo e quelle della danza, che hanno entrambe come possibile primitivo definitorio, non privo di una certa grossolanità, il movimento: corpo in movimento per l'arte coreutica e le “immagini in movimento” per il dispositivo di visione. Tra le tecnologie di ripresa del movimento e la danza, da sempre c'è un rapporto di affinità elettiva, innamoramento che il sopraggiungere del video non poteva che incrementare.

Le cose si complicano quando nel rapporto tra video e danza si aggiunge anche la televisione. Infatti tra le molte ambiguità della forma artistica ibrida della videodanza c' è anche quella che nasce dal suo situarsi sul crinale di un appeal sicuramente generico e di massa in quanto forma audiovisiva e al contempo un pubblico di nicchia come quello della danza. Ma quando la danza incontra la televisione non può prescindere dalla natura di mezzo di comunicazione di massa di quest'ultima.

Si tratta in realtà di una grande sfida, quella della danza per il piccolo schermo, in cui sono in gioco non soltanto le strategie comunicative di un medium generalista ma anche le modalità stesse di una forma artistica complessa. Il legame con la tv può trasformare la videodanza da sperimentazione nata in seno alle avanguardie coreutiche in un oggetto culturale a vocazione divulgativa, e viene spesso intesa in questa direzione, ovvero per diffondere e allargare un'area ristretta di pubblico dall'interesse specifico, anche da chi la televisione la pensa e la organizza.

Oltre ai fini educativi e divulgativi di sviluppo del settore dello spettacolo dal vivo, l'altra dimensione possibile è quella di una televisione che produca arte con i propri mezzi, applicando i propri linguaggi per emanciparsi dalla sua condizione di strumento che può al massimo parlare di arte attraverso programmi a essa dedicata. Su questa frontiera si situano oggi formati sicuramente commerciali ma che quando vengono trattati da specialisti del settore, da autori che hanno una visione precisa del loro operare, non stentano a collocarsi nel territorio dell'arte, sia questa chiamata videodanza, cinema sperimentale o semplicemente videoclip.

Proprio questo formato, tanto spesso a ragione vituperato da una larga schiera di osservatori culturali, ha spesso confinato la danza, o per meglio dire “il ballare”, in una dimensione puramente ornamentale e decorativa, in una marmellata RnB che l'ha travisata in un corpo sessuato che enfatizza le sue attrattive attraverso il movimento. Tuttavia sono possibili eccezioni, e si tratta di eccezioni trasmesse in heavy rotation sui principali canali per i giovani, appetibile gruppo di interlocutori non solo per gli avvoltoi del marketing.

La storia del videoclip è zeppa di questi eccezioni, che si tratti di Bjork o Fat Boy Slim, dei Daft Punk o di Adele, anche se bisognerebbe chiedersi come vengano recepite e categorizzate e se possano essere d'aiuto allo sviluppo della danza filmica. Che sia ballo di gruppo, rivisitazione del musical o coreografia raffinata che procede per astrazioni, alcuni video riescono a organizzare la loro espressione secondo modulate tensioni e costruzioni ritmiche che li rendono in tutto e per tutto coreografie per lo schermo o, per dirla con le parole di Margaret Williams, regista di videodanza «Un film di danza tratta soprattutto di movimento. Io credo che se si pensa il movimento allora si sta facendo una coreografia, sia che si tratti delle duemila comparse sullo sfondo del film Gandhi, sia di un attore che posa la tazzina di caffè». Queste parole sono da considerare anche nella loro portata provocatoria, e servono da stimolo per cercare la danza filmica anche dove forse non la si aspetterebbe. Idea che in realtà viene già messa in pratica dai programmatori più illuminati di festival di videodanza, in cui non è raro vedere, accanto a eccellenti episodi di coreografia per lo schermo, anche dei “comuni” videoclip, quale ad esempio Let forever be dei Chemical Brothers, girato dal geniale Michel Gondry, regista ben noto sia al grande pubblico che ai cultori della materia. Un video di danza a tutti gli effetti, non solo per “l'oggetto” di cui tratta, ma per la maniera in cui organizza la sua materia espressiva.

Per restare nell'ambito più circoscritto della danza in video, questa forma che, come ci racconta Bob Lockyer, uno dei numi tutelari della videdanza britannica, «è nata contemporaneamente alla rivoluzione dell'home video e all'introduzione delle telecamere ultraleggere ideate originariamente per i reportages giornalistici», in un momento in cui i coreografi non solo avevano liberato la danza dai confini dei codici, ma anche da quelli del palcoscenico. Questo significa che esistono dei coreografi e dei registi (fra i molti Philippe Decouflé, Wim Vandekeybus, Laura Taler e David Hinton) che realizzano filmati di lavori artistici di grande successo, fruibili anche da un pubblico abituato certamente alle convenzioni visive del mezzo filmico ma non alla danza, in cui l'elemento centrale è proprio la costante ricerca, sia sul linguaggio visivo che su quello del corpo. Ricerca che è il fattore più determinante in un possibile sviluppo di questa forma artistica composita.

Un caso emblematico e invidiabile di incontro tra coreografia e telecamera è quello della Gran Bretagna. Una storia che ha senso ripercorrere per i numerosi insegnamenti che può portare anche alla televisione italiana di oggi.

 

Un caso invidiabile: la Gran Bretagna


La danza è una presenza che ha accompagnato la BBC fin dalla sua nascita, quando l'emittente muoveva i suoi primi, rudimentali passi ed era ancora ben lontana dall'essere un servizio pubblico ufficiale. Alcune ricerche sulla storia culturale inglese suggeriscono la presenza di alcune danzatrici, la prima sembra essere stata Maria Gambarelli seguita in rapida successione da molte altre fino a Agnes de Mille, che realizzavano coreografie classiche come Coppelia davanti all'occhio meccanico della telecamera già dal 1932, anni in cui non si sperimentavano solo le forme e i contenuti, ma anche le prime tecnologie di ripresa e trasmissione.

Quella tra la televisione inglese e la danza sembra quindi una storia d'amore di lunga data, dal colpo di fulmine degli inizi alla stretta relazione degli anni Novanta. Gli archivi dell'emittente inglese testimoniano che la produzione e la trasmissione (la rete acquistava anche da canali stranieri) di programmi sulla danza (tra cui i famosi documentari d'arte della BBC) ha raggiunto il suo apogeo tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80, ovvero a ridosso dell'esplosione della New Dance inglese, movimento di ampie dimensioni e dalla variegata offerta artistica che si può sommariamente sintetizzare come una serie di ricerche volte a liberare la danza da regole e costrizioni e allo stesso tempo connetterla al mondo reale e utilizzare il movimento per parlare di problemi sociali, politici, ambientali. Fu in questi anni che alla BBC emerse Bob Lockyer, personaggio chiave, allora come oggi, per la diffusione della danza sul piccolo schermo.

Ad eccezione di alcuni esperimenti, la danza in televisione prima degli anni '80 consisteva in documentari sui danzatori al lavoro o in registrazioni di spettacoli, ma con Lockyer alla BBC si inaugurò una nuova stagione di produzione di film di danza. Contemporaneamente nasceva in Inghilterra anche un'altra emittente, Channel 4, fondata nel 1982. Questa rete non era una casa produttiva come la BBC e si basava quindi solo sull'acquisto di prodotti, ma riuscì a proporre, nel contenitore Dance on 4, vari adattamenti di spettacoli creati per il palcoscenico presi dalla frangia più sperimentale della danza inglese e internazionale, incrementando via via questa rivoluzionaria modalità di commissione di lavori di danza pensati direttamente per la televisione. Accanto a questa emittente nacquero quindi alcune case di produzione, tra cui Dancelines, fondamentali per costruire una metodologia e un'estetica della danza per lo schermo, e per emanciparla dal “canone” della camera fissa che imperava nella ripresa di spettacoli teatrali.

Nel 1992 la BBC nella persona di Bob Lockyer, produttore esecutivo dei programmi di danza dell'emittente e l'Arts Council (un organo esecutivo del ministero per la cultura, i media e lo sport del governo inglese, fondato per promuovere le arti in Gran Bretagna) diedero vita al progetto Dance House, una serie di 12 corti di danza creati appositamente per il piccolo schermo, in cui si mettevano in relazione, per ogni video, un coreografo, un regista e un compositore. Questi filmati furono disseminati lungo la programmazione giornaliera, per cogliere di sorpresa il pubblico ma senza shockarlo completamente, infatti le opere potevano essere fruite senza difficoltà da spettatori già abituati, per esempio, al formato del videoclip. Dopo questa fortunata esperienza, nel 1994 la BBC e l'Arts Council misero a disposizione dei fondi per un progetto biennale che è in seguito diventato leader per la danza in televisione, chiamato Dance for the Camera. La serie, ancora prima di essere trasmessa, vinse numerosi premi ed è stata uno dei primi progetti concreti volti al sostegno e allo sviluppo della danza pensata per la televisione. Alcune delle personalità coinvolte erano di notevole richiamo per il mondo coreutico, come Matthew Bourne che insieme al regista Frances Dickenson firmò un'ironica riflessione sull'attrazione per sé stessi, o il lavoro del caustico David Hinton, che fin dai suoi esordi ha idee ben chiare su come far relazionare la telecamera al movimento umano, o ancora lo sguardo di Margaret Williams sul lavoro di Victoria Marks con la CanDoCo Dance Company.

Nel frattempo l'ideatore di Dance on 4, Micheal Kustow, lasciò l'emittente e così cessò per un lungo periodo la produzione di videodanza di Channel 4, fino all'incontro con Margaret Williams e con la sua casa di produzione MJW. La nuova sinergia diede vita alla serie Thigts Camera Action!: quattro trasmissioni antologiche della durata ciascuno di trenta minuti realizzate con innovativi film di danza di diverse lunghezze e provenienti da vari paesi. Questa serie venne programmata il venerdì in prima serata, uno spazio solitamente non dedicato all'arte, tra l'edizione principale del telegiornalee la più seguita soap di Channel 4.

La danza è stata così portata nelle case di un'audience ampia e non specializzata, un pubblico di “gente comune” tra cui persone che probabilmente non sarebbero mai andate in teatro a vedere la danza contemporanea. Ma dopo le trasmissioni di Thighs Camera Action! le emittenti sono state subissate di richieste di informazioni sui coreografi coautori dei film come Philippe Decouflé e Saburo Teshigawara.

Nel 1998 sembrava che si dovesse concludere un un percorso, quello della BBC con Dance for the Camera, a causa di alcuni bruschi cambiamenti nelle strutture produttive inglesi a cui ha fatto seguito una ristrutturazione del dipartimento Film and Video dello stesso Arts Council.

Le cose però si mossero al fine di assicurare la sopravvivenza alla serie Dance for the Camera. Durante un convegno su danza e televisione Bob Lockeyr e Rodney Wilson dell'Arts Council si confrontavano rispetto alla necessità di «mettere in atto un nuovo approccio per attrarre il pubblico e mettere alla prova sia registi che coreografi, sfidandoli a pensare alla televisione in modo creativo». Nell'aprire un dialogo con la televisione olandese NPS, a sua volta ideatrice della serie DansBilk, BBC e NPS hanno deciso di unire le forze per una nuova avventura produttiva che replicasse i successi già raggiunti, in un progetto che ha visto uniti coreografi e registi sia inglesi che olandesi. Le edizioni successive di Dance for the Camera trovano nella coproduzione tra due paesi un modo per reagire alle alle crescenti difficoltà e per continuare a fare spazio all'innovazione e alla sperimentazione all'interno dei palinsesti. In realtà, nella settima edizione della serie, Bob Lockyer lascia il campo e la natura breve e virale dei corti di danza viene spalmata su una struttura temporale più lunga, più consona alle esigenze dei programmatori televisivi, forzando gli artisti a ragionare su un tema comune per poter così unire i filmati in un unico lungometraggio.

Quelli delineati sono i percorsi e le vicessitudini di due programmi che risentono anche dei cambiamenti nelle posizioni dirigenziali delle emittenti ma che tuttavia riescono a tracciare un quadro di sviluppo e di crescita di una forma artistica che è riuscita a raggiungere una sua maturità e autonomia anche grazie a questi interventi.

L'avanzamento della danza nel sistema istituzionale delle telecomunicazioni della Gran Bretagna nei primi anni Novanta non ha pari ed è un successo costruito congiuntamente. Alla BBC e a Channel 4 va il merito di aver puntato economicamente su un settore che ogni valutazione sull'audience avrebbe consigliato di escludere. Le serie di Thights Camera Action! trasmesse da Channel 4 e di Dance for the Camera sulla BBC dimostrano come una scelta diversa da parte delle emittenti possa essere premiata sia in termini di pubblico che in termini di immagine.

Nel 1996 Rodney Wilson, allora direttore della sezione video e film dell'Art Council, osservava: «La particolarità di Dance for the Camera sta nella formula coproduttiva che lega l'emittente di stato britannica a un'istituzione culturale pubblica e nell'articolazione realizzativa. Ogni anno i due organismi invitano coreografi e videomaker a presentare uno storyboard dell'idea che hanno intenzione di sviluppare. Da una prima selezione emerge una rosa d'autori che ricevono fondi sufficienti per realizzare i loro progetti. La fase finale prevede che ai videomaker si affianchino dei produttori indipendenti e esperti (MJW e Dancelines)».

E ancora in un intervento dell'anno successivo: «Nel momento in cui l'ecologia televisiva cambia sotto l'impatto delle tecnologie digitali e della deregulation, il senso di obbligo del servizio televisivo nazionale vecchio stile verso le programmazioni culturali tende a scomparire. Parlando in generale i programmi culturali hanno alti costi ma raggiungono un pubblico ristretto e questo viene considerato un lusso sempre più insostenibile. In un contesto dove anche il pubblico delle arti dal vivo può essere calcolato al dettaglio la televisione diventa uno strumento promozionale attraente e utile perché 'come si vede in tv' è un'ottima formula promozionale. Ciò aiuta le arti, ma non dovremmo aspettarci che la televisione svolga un ruolo maggiore di quello di essere un servizio pubblicitario? Essa offre l'accesso a coloro che, per qualsiasi ragione, sono impossibilitati a seguire l'evento dal vivo e questo aiuta a giustificare il finanziamento pubblico. Ma esiste anche un modo più creativo per cui l'artista può essere coinvolto nel mezzo? La televisione può essere un modo per realizzare l'arte anziché uno specchio che riflette ciò che accade altrove?». Le serie Dance for the Camera sono una risposta a questo. L'importante per le emittenti è imparare a rischiare perché la televisione possa essere «un mezzo creativo e le arti possano offrire idee brillanti e programmi accessibili a tutti».

Le recenti evoluzioni della danza filmica in Gran Bretagna sono state quindi determinate in gran parte dal servizio pubblico, i cui organizzatori e programmatori hanno col tempo costruito una grande esperienza nel selezionare e trasmettere la danza filmica disseminandola nel palinsesto. Questa esperienza permise anche di canalizzare meglio le risorse quando, negli anni Novanta, arrivarono anche i finanziamenti da parte dell'Arts Council. Come ci chiarisce Gitta Wigro, responsabile della sezione video di The Place, una delle case della danza contemporanea a Londra «Questa situazione durò diversi anni, Dance for the Camera alla BBC e Dance on 4 a Channel4 diedero a coreografi e registi l'opportunità di ottenere sia esperienza che esposizione, non solo attraverso la programmazione dei loro video, ma anche con alcuni avvenimenti collaterali come l'organizzazione di workshop che diedero la possibilità ai coreografi inglesi di entrare in contatto con le problematiche proprie del mezzo. Di recente, anche grazie allo sviluppo e alla democratizzazione delle tecnologie digitali, l'Arts Council ha riconosciuto il particolare vincolo che il formato televisivo pone sulla pratica video e ha così sviluppato Capture, stanziamento di fondi che include lavori pensati e fruiti in altri contesti quali installazioni video, media digitali e esperienze cinematiche. Questo mirabile intervento pubblico ha aiutato il settore a esplorare e articolare le definizioni di forme d'arti emergenti e sperimentali, e ha creato anche un forte legame con la solida scena di videoarte inglese. Un altro fattore chiave è stato l'importante lavoro svolto dalla rete di Dance Agencies, organizzazioni fondate dall'Arts Council per sostenere, promuovere e monitorare i coreografi e i danzatori professionisti nella propria regione. In particolare tre di queste agenzie si sono focalizzate sul sostegno alla videodanza: Dance4 si è specializzata in danza e nuovi media, la South East Dance nella commissione e distribuzione di lavori di danza per lo schermo, e la ora cessata Place Videoworks dirigeva l'annuale festival di danza filmica, Dance on the screen, con le sue teche di più di 1500 titoli. A tutto questo ha fatto da complemento una forte attività artistica popolare, come il Dance Film Forum, un gruppo di discussione informale che si incontrava regolarmente a Londra».

Nel 2006 l'Arts Council ha fondato una nuova agenzia specificatamente per la danza e l'immagine in movimento. Il panorama di videodanza inglese è ricco e eccezionalmente vario. «Bisogna sottolineare che il settore è comunque minoritario se paragonato allo sviluppo delle altre forme artistiche» - continua Gittta Wigro - «C'è una pletora di iniziative, incluso i festival annuali di videodanza che hanno un focus internazionale e i già citati wirkshop formativi. Naturalmente non tutto è rose e fiori: l'ex Capture è ora il solo fondo dedicato alla danza e all'immagine in movimento e non è stata creata una biblioteca comune di riferimento per esplorare e ricercare il lavoro che gli artisti hanno prodotto durante gli anni»

. Inoltre i cambiamenti del settore comunicativo, l'avvento della televisione digitale, lo sviluppo di Internet e i conseguenti cambiamenti nelle modalità di distribuzione e consumo di video disegnano un nuovo scenario ricco sia di sfide che di opportunità per artisti e programmatori.

 

Territori inesplorati


L'avanzamento della danza nel sistema istituzionale delle telecomunicazioni della Gran Bretagnanei primi anni Novanta non ha pari ed è un successo costruito congiuntamente. Alla BBC e a Channel 4 va il merito di aver puntato economicamente su un settore che ogni valutazione sull'audience avrebbe consigliato di escludere. Le serie di Thights Camera Action! trasmesse da Channel 4 e di Dance for the Camera sulla BBC dimostrano come una scelta diversa da parte delle emittenti possa essere premiata sia in termini di pubblico che in termini di immagine.

Radicalmente diverso è la sitauzione della danza filmica nel contesto italiano. La programmazione di videodanza in Italia stenta ad acquisire consistenza e continuità, con le rare e volonterose eccezioni realizzate da critici come Elisa Guzzo Vaccarino su emittenti satellitari quali RaiSat Show o da Vittoria Ottolenghi per la RAI ed altri isolati avvenimenti. Il dibattito e l'attenzione attorno a questa forma viene così relegato a discussioni e ricerche di appassionati o di programmatori più illuminati, dibattito a cui anche il TTV Festival ha contribuito cercando di focalizzare l'attenzione sulla danza per lo schermo e proponendo casi emblematici e virtuosi di programmazioni televisive avvenute in altri paesi. Una lacuna drammatica che non solo danneggia la danza italiana, ma che coinvolge l'intero sistema delle arti e della cultura, e che ritarda lo sviluppo di un panorama televisivo sempre più grossolano e invischiato con la spettacolarizzazione del vivere, dimenticando come uno dei medium generalisti per antonomasia possa contribuire a creare quel sostrato culturale pluralista e sfaccettato fondamentale per lo sviluppo di un paese. Il senso di una televisione generalista che si occupi di arte e di cultura è anche quello di un'esposizione casuale a qualcosa che forse non si sarebbe scelto o programmato di guardare, e come ben sintetizza Bob Lockyer «dobbiamo tutti combattere l'industrializzazione del tempo libero: 500, 700 canali identici e universali, forse ridefiniti per l'Europa dal punto di vista del marketing ma tutti con gli stessi programmi omogeneizzati. Dobbiamo trovare un nuovo spazio pubblico per nuove idee (...) perché la condivisione di informazioni è potere».

Fare una televisione di qualità per tutti e non solo per chi è dotato di parabola e abbonamenti è in realtà un tema democratico di cui la politica e la società dovrebbero farsi carico, pena un'esclusione aprioristica e un'involuzione crescente e immobilizzante.

Per approfondire:

www.videodance.org.uk

www.portlandgreen.com

www.londondance.com

www.media-dance.com

www.southeastdance.org.uk

www.bigdance.org.uk

www.blasttheory.co.uk

www.mobile-clubbing.com

www.infomus.org

www.aec.at

www.secondlife.com

di Lucia Oliva
       

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