Da qualche tempo essere giovani, nel mondo del teatro italiano, è un valore aggiunto di per sé, indipendentemente dalla robustezza della propria proposta. Si lavora, un poco, e si fanno vedere le proprie cose perché si è giovani registi, giovani coreografi, giovani critici. Bisognerebbe allora fermare il tempo perché accade, solitamente, che non si è per sempre così giovani, e arriva qualcuno che è più giovane di te.
Il sistema ha scatenato un arrembaggio ai giovani che sono di fatto la nuova gallina dalle uova d'oro, solo che il pollaio ha le ore contate. Essere giovani si è trasformata in una condizione esistenziale quasi religiosa, degna di una fede incrollabile, e in un'etichetta estetica - rassegne per giovani, festival con la sezione “giovani” - che non fa i conti con le proposte reali ma con la brutalità del dato anagrafico. Ma spesso accade che nel prendere linfa da questi fenomeni li si dissecca precocemente, perché magari avevano forza sufficiente per irrorare le proprie idee, ma non un mondo in crisi. Il mercato dei giovani, ma sarebbe meglio chiamarlo discount, è cannibalizzante, e per un artista alle prime armi una sovraesposizione insistita e precoce può essere bruciante. Al di là delle buone intenzioni, molti sono i rischi, e bisogna mantenersi vigili.
Oltretutto nella danza si è giovani per forza. I danzatori sono giovani, la pelle i muscoli il fiato sono giovani. La danzatrice classica è l'icona prepuberale per eccellenza, e la sua giovinezza dura veramente il tempo di un fiore.
Quanti sono i coreografi che mettono in discussione questo status quo avvelenato e portano in scena, non solamente nel carnevale del teatro danza, un corpo invecchiato, quando non vecchio? Questo accade talvolta nel teatro e nella danza di ricerca, è molto più raro nelle “compagnie di giro”, e totalmente assente nel mondo accademico, dove le étoile non più così smaglianti scelgono altri contesti e altri linguaggi con cui lavorare.
Diverse le cose nel regno della danza contemporanea, dove le richieste sono più sfumate e guardano molto di più alla personalità complessiva e non solo all'atletismo, alla sensibilità e alla grana umana e non solo alla tecnica. Tuttavia l'energia dei vent'anni non é la stessa dei quaranta. Quel che si guadagna in esperienza, complessità ideativa, capacità critica e riflessiva lo si sta perdendo altrove, e le articolazioni lo sanno. Questa è la condizione umana, e non sarebbe negativa di per sé se non si osservasse, da più parti, un'enfasi sui giovani che appare ipocrita e fastidiosa perché per i danzatori la mancata giovinezza è uno dei criteri per l'esclusione dal mercato.
Bisogna poi scontrarsi con l'amaro calice del realismo, ovvero che non tutti i danzatori hanno le potenzialità per diventare grandi autori. Ad alcuni non interessa nemmeno, e vorrebbero solo danzare, anche se nei lavori di altri. Questo chi lo dice ai ragazzi che studiano danza sognando la scena? Chi lo dice che tanto quanto il talento sono importanti le proprie idee, la propria anima? Chi lo dice che per studiare veramente ci sono poche alternative oltre all'andare all'estero? Chi lo dice che dopo le scuole meravigliose che si fanno in Europa spesso si torna a casa, solitamente a non lavorare?
Ci sono però delle eccezioni, in tutti i contesti.
Danzatori che dopo una carriera come interpreti di un coreografo imboccano, con successo, la via autoriale, da grandi.
E ci sono persone che invece di vampirizzare i giovani provano a dirigere lo sguardo su un futuro possibile e non su un tornaconto privato. Si tratta di direttori di festival e teatri, organizzatori -pochi - che con i giovani lavorano, e parlano, e usano questa etichetta perché più semplice di mille perifrasi, anche se ingannevole. Più che giovani preferiscono chiamarli emergenti, mettendo bene in chiaro che il mare da cui si emerge è molto mosso e può facilmente ringhiottire. La scommessa allora è non cedere al rischio di un'osservazione indeterminata dove tutto ciò che esiste è considerato interessante, allontanarsi dalla logica vorace del consumo che ha sempre bisogno di nuovo. Meglio concentrarsi sulla qualità delle proposte, lasciare tempo e spazio perché i giovani artisti dispieghino le loro ali, anche se le useranno per esplorare altri cieli.