Abbiamo incontrato durante i giorni di pausa del Festival Massimo Simonini, che collabora alla direzione artistica di Santarcangelo 39. Un breve dialogo nato da alcune frasi con cui Simonini ha raccontato in altre occasioni AngelicA, Festival Internazionale di Musica, che dirige a Bologna dal 1991.
Parto da una coincidenza, da una vicinanza: Chiara Guidi presentando Santarcangelo 39 ha parlato di “messa in scena di un festival”; io, raccontando AngelicA ho sempre parlato del programma del festival come di “una composizione di composizioni”. Conoscevo Chiara di nome, ma non l’avevo mai incontrata personalmente: chiamarmi per Santarcangelo 39 non è stata una semplice richiesta di collaborazione alla direzione artistica del festival. Lavorare con lei è stato come trovarsi a casa, e a casa ci sono sempre problemi e sentimenti, soluzioni e discussioni. Fuori dalla formalità. La comune consapevolezza è stata quella di cercare di mettere insieme un programma in cui fosse il programma stesso a creare un movimento ulteriore. Camminando, si aveva la sensazione in questi giorni trascorsi (e camminando è un’altra parte dello spettacolo, quasi) di entrare in un luogo e non poter dire “mi piace, non mi piace”: perché tutto era collegato al resto, come frammenti di una composizione più ampia da potersi leggere solo alla fine. Un metatesto, una metamusica che non è ancora giunta tra noi, qui sulla terra, ma che in realtà puoi vedere.
“Voi della musica concedete troppo alla musica”. “E voi del teatro volete tutto troppo confezionato e vi perdete molta musica”. La musica del teatro.
Questo è uno scambio scherzoso tra me e Chiara, accaduto durante uno dei nostri primi incontri. Chiara si riferiva forse a certa musica che a volte rischia di essere troppo fine a se stessa. Nel teatro pare tutto più controllato. Penso a Phil Minton: dopo tre giorni di festival, con un solo, un’improvvisazione radicale, nella quale le luci di Fabio Saijz hanno regalato un tono molto particolare (Phil ha chiesto a Fabio di improvvisare con lui), ho assistito a quella che per me è stata una serata di teatro naturale. Forse ora potrei dire che un obiettivo è “confondere”. Un concerto non è più un concerto. Forse assistere a una trascendenza in cui tutti siamo invitati a entrare.
“Il suono è spirito, quasi come un pensiero spedito nello spazio; ci aiuta a intravedere ciò che è ancora invisibile: qualcuno ti pensa e ricevi un suono.”
La sensazione è che sta cambiando la percezione delle cose a livello collettivo e sta accadendo con una certa velocità. E che la collettività ne è più consapevole. Le generazioni che vengono hanno mangiato e digerito anche senza aver avuto spiegazioni. Cambia la percezione anche grazie al lavoro che si fa in una certa direzione. Chiara dice: “quando un suono mi commuove io vedo”. Emetti un suono e quel suono provocherà dei cambiamenti; quel suono condiziona, chiude, apre, guarisce, espande e agisce su di noi. Anche attraverso un festival, come con un testo che si scrive, una musica che si compone, dovremmo cercare di trasmettere una visione, offrire una speranza. Al centro sei tu attore di questa esistenza.