RISONANZE > Alvin Lucier alla Rocca Malatestiana - Incontro
Seduti nella Rocca malatestiana abbiamo registrato l’incontro tra Luigi de Angelis dei Fanny & Alexander e Alvin Lucier. Quelle che state per leggere sono solo alcune delle parole di Lucier; risonanze della sua opera, di I am Sitting in a Room.
«Tante nuove idee sulla musica sono nate negli anni sessanta. Un’idea su tutte: quella che la musica, come l’arte, potesse essere ogni cosa. Per me, e non solo per me, qualcosa di assolutamente nuovo. Allora elaborai un’idea di musica estremamente semplice: prendere dei suoni e inserirli in altri tipi di contenitori, così da trasformare i suoni stessi in base al contenitore scelto. E poi pensai di utilizzare in spazi piccoli o molto piccoli quei suoni solitamente utilizzati in spazi molto grandi. Se prendo un bicchiere e vi parlo dentro la mia voce cambia, e la percezione all’ascolto sarà diversa da quella precedente; e lo stesso processo, anche se in forme diverse, avviene se in riva al mare poggio una conchiglia su un orecchio. La dislocazione del suono da un ambiente sonoro all’altro era ciò che maggiormente mi interessava. Idee semplici in fondo, molto semplici. Al centro il suono e la voce, come in I am Sitting in a Room. Quel che sapevo con certezza, nel momento in cui decisi di comporre questo pezzo, era che l’unico modo in cui avrei potuto farlo sarebbe stato quello di scriverlo in prosa e mettendo al centro il suono. Perché il suono della voce varia in continuazione, a seconda di dove ci troviamo. Non vi facciamo mai attenzione, perché siamo sempre concentrati sul linguaggio, sul senso, mai invece sul suono, sul suo mutare. Ma se per un attimo mettiamo da parte il linguaggio, riusciamo a notare le piccole variazioni di suono che la voce vive in ogni spazio diverso. Negli anni Sessanta c’era una grande diffidenza nei confronti del linguaggio; qualcuno lo definiva un virus piovuto da un altro pianeta. Erano gli anni in cui mi recai a Venezia per la Biennale: ascoltai della musica meravigliosa, quella di Berio, di Maderna e di tanti altri, una musica che però non mi si addiceva, perché troppo piena di linguaggio, da cui mi allontanai forse anche per il mio difetto di pronuncia, la balbuzie. Potrebbe questa affermazione sembrare una contraddizione, visto che proprio in quegli anni composi I am Sitting in a Room, un pezzo al cui centro vi è la mia stessa voce. Non è così: la voce è sì il protagonista, ma viene riciclata e ritrasmessa finché non svanisce in modo da rendere il linguaggio incomprensibile. Sono le frequenze di risonanza a prendere il sopravvento su tutto il resto. La scelta della voce non è casuale: la voce è più di uno strumento, con le sue molteplici possibilità, e poteva con le sue caratteristiche aiutare la mia idea del pezzo. E poi la prima volta che registrai I am Sitting in a Room ero in casa: fu quindi del tutto naturale utilizzare la mia stessa voce. Una scelta non certo nata da un approccio scientifico alle possibilità della voce. Ho ricevuto una formazione comunque classica, per cui l’intuizione scientifica resta una semplice intuizione da cui parto. Non mi interessa vedere dove potrebbe arrivare quella voce ascoltata all’infinito; forse dovrebbe farlo qualcun altro. Quel che a me interessa è che il pezzo scorra in avanti fino a raggiungere la sua conclusione, conclusione che è nella dissoluzione del senso che diventa molteplice senso sonoro. Anche per questo non mi interessano le installazioni specifiche, quanto piuttosto osservare gli effetti che nascono nel momento in cui il suono si diffonde e si confronta trasformandosi con lo spazio, qualunque sia lo spazio o il luogo. L’ambiente diviene parte integrante del lavoro. I am Sitting in a Room è un incontro, un ciclo, una trasformazione: in parte non so quello che sarà il risultato, perché dipende dalle circostanze; so che c’è un testo, la struttura, sempre uguale a se stesso. Ho riutilizzato l’idea che c’è dietro I am Sitting in a Room una seconda volta, quando mi fu chiesto di reinterpretare il Requiem di Mozart. La cosa in sé mi spaventava, perché il Requiem di Mozart è come un pezzo sacro. E per di più un’opera incompiuta. Decisi allora, fatta questa scoperta, di colmare i vuoti, prendendo parti preesistenti del Requiem, registrandole, riciclandole e ritrasmettendole, utilizzando la stessa tecnica usata per I am Sitting in a Room. Il pubblico ne fu entusiasta, nonostante le mie perplessità di partenza al lavorare suun pezzo già composto. E forse, vista la tanta attenzione che si ha di questi tempi per la preservazione dell’arte, non è stata una cattiva idea provare a ravvivarla un po’!»