LUOGHI > La stanza di M. - muta imago
Nella geografia di luoghi di Santarcagelo che il festival apre all’attraversamento, alla scoperta, ci sono anche abitazioni private, che diventano teatri di concerti raccolti o, come nel caso dei Muta Imago, spazi da cui far scaturire un’immagine e, attraverso il suono, trasformare immagine e luogo in un unico ambiente immersivo per l’esperienza dello spettatore. Chi si introduce ne La stanza di M. ha davanti una figura femminile sospesa in un tempo impreciso, in un luogo corroso dal tempo, intriso di quel rapporto “fisico” con la memoria che è da tempo percorso e ossessione dei lavori della compagnia romana.
Abbiamo lasciato il luogo così come lo abbiamo trovato, carico della sua propria realtà, perché obiettivo del lavoro era partire da un luogo reale per poi portare lo spettatore in un altro luogo, un luogo della memoria.
Pian piano la stanza di M. si popola dei suoi fantasmi, che hanno principalmente il volto di una figura maschile. Una figura che evidentemente le è vicina, eppure carica di un’aura inquieta.
In un crescendo a spirale, le immagini della mente (della memoria) di M. risucchiano lo spettatore – altrimenti separato da M., chiusa nella sua stanza/teca – in un altro tempo, in un altro luogo. Ma la spinta centripeda è creata dal suono.
La stanza è una delle polarità dello spettacolo, l’interno. Ma poi c’è l’altra, l’esterno, che preme per entrare. L’interrogativo che ha guidato il lavoro è stato come far entrare lo spettatore nella mente di lei.
Il suono è una spinta “fisica” a entrare. Le onde sonore investono il corpo di chi guarda, lo spingono letteralmente, così come premono sui vetri divisori della stanza/teca, che iniziano a vibrare fortemente, come in preda al tremore che satura gli occhi di M. ma non riesce a scuotere il suo corpo. Assieme al buio, il suono scandisce la discesa di M. nei meandri della sua memoria.
Ci siamo chiesti come il luogo reagisse al suono, per far suonare la casa. Con l’obiettivo tecnico di creare un suono diffuso, dove non fosse possibile distinguere la fonte. Ma anche con un obiettivo drammaturgico, funzionale allo spettacolo. Perché volevamo che lo spettacolo abitasse il luogo, e non che semplicemente lo riempisse.
Quando la memoria satura l’immagine, essa si fa sfumata, indistinguibile. Si intravede soltanto M. sbracciarsi in una fuga, inseguita dai suoi fantasmi, dopo aver finalmente infranto il muro della sua imperturbabilità. Ma l’impronta fisica che resta impressa in chi guarda è quella acustica, che fa risuonare il torace come quando il cuore batte all’impazzata.
convesazione tra Graziano Graziani (tondo) e Muta Imago (neretto)
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