Il rapporto con la realtà è da sempre al centro della riflessione del teatro. Di volta in volta gli artisti hanno concentrato la loro attenzione sull'aspetto finzionale di quest'arte, oppure ne hanno rivendicato e ricercato i margini di realtà e unicità, o altrimenti hanno inventato visioni sconnesse da qualunque referenza per poter rivendicare la creazione di un piano ulteriore di realtà. Il perché di questa insistenza, che dura ben oltre la stagione pittorica delle pipe di Magritte, è facile da intuire: teatro e performance sono arti che si danno quasi sempre in presenza di un corpo vivo, e sono gli esseri viventi, in definitiva, con la loro capacità di interpretazione che crea senso, a costituire il vettore della realtà. È in questo senso che il teatro è da sempre lo specchio della realtà e della società.
Gli anni che viviamo, tuttavia, hanno reso il concetto di realtà ancora più complesso. Oggi realtà e finzione non sono più in netta opposizione, ma sono concetti che viaggiano in parallelo e che contribuiscono a costruire la nostra idea del mondo. Quasi tutto quello che sappiamo del mondo lo apprendiamo attraverso un medium, che sceneggia la realtà per potercela raccontare; portiamo avanti una parte importante dei nostri rapporti privati attraverso le reti, cioè a distanza, attraverso una mediazione tecnologica; spesso il nostro modo di stare nel mondo cambia se c'è o meno la possibilità che ciò che facciamo finisca ad esempio in tv (basta pensare a quanti attentati vengono ideati più per la loro eco mediatica che per il loro effetto sulla realtà). La società dello spettacolo ha costretto la realtà a utilizzare i linguaggi dell'arte per poter affermare se stessa. La modalità principe del Novecento, secolo di avanguardie e sperimentazioni, è stata la provocazione. Oggi però la realtà è in grado di lanciare provocazioni assai più incisive dell'arte. E all'arte cosa resta da fare?
Non a caso questo numero di Nero su Bianco cita Matrix nel titolo, perché mai come oggi l'arte deve compiere una scelta. Questa questione attraversa l'intera fanzine, a partire dalla rubrica "live" che riporta il dialogo della redazione con il Teatro Sotterraneo, che si è cimentato nel non facile compito di confrontarsi con l'evento mediatico dell'anno, la finale dei mondiali. E non manca un affondo sull'arte che oggi sembra maneggiare la realtà con maggior sicurezza e incisività, il cinema documentario, dove la visione lucida di Marco Bertozzi ci spiega perché il documentario si configura come un antidoto alla mistificazione della realtà. Questo interrogativo si riverbera anche nelle recensioni, che in questo numero hanno uno spazio doppio per raccontare il primo week-end del festival. Mentre la rubrica delle biografie si occuperà della formazione israeliana Pubblic Movement, che agisce nello spazio pubblico attraverso interventi performativi, e la sezione dedicata ai laboratori racconterà due percorsi che lavorano sull'immagine, quelli di Fanny & Alexander e di Stefano Ricci. Il tutto per chiederci che fine ha fatto la realtà, e che ruolo ha l'arte nel formulare di questa domanda.