Incontriamo in piazza Ganganelli Roger Bernat, il regista catalano autore di Domini Públic. Chi partecipa al suo spettacolo si sente rivolgere domande in cuffia, anche molto personali, alle quali poi risponde davanti a tutti. Lui è diretto e cordiale: "Sono cose a cui tutti abbiamo pensato una volta o l'altra - dice - ad esempio se vogliamo dei figli o no, ma è il condividere la tua opinione di fronte a una comunità che è divertente". Divertente? "Qualche volta non vuoi assolutamente esporti, altre invece sì, e con forza. E questo è molto significativo". Bernat afferma che gli piace presentare questo lavoro in piazza perché è il luogo dove tutti si ritrovano. Una scelta forse naturale per chi si è formato in architettura. "No, la mia formazione non c'entra, l'uso dello spazio pubblico per me è connesso al teatro, perché è quello il vero luogo dello spazio pubblico. Il teatro dovrebbe essere il luogo dove tutti andiamo per confrontarci e vedere cosa vogliamo fare per la città".
Ma che tipo di teatro? Nel teatro di Bernat è centrale l'aspetto di gioco, ma quando il gioco si sovrappone completamente al teatro, come in Domini Públic, non è più possibile essere spettatori, solo partecipanti. Chi è allora lo spettatore? "Penso ci sia questo di importante nel teatro: il fare qualcosa con gli altri. Per fare questo c'è il gioco, la danza, la marcia dell'esercito, cose in cui proviamo una sensazione di gruppo che non abbiamo quando siamo in coppia. Questo fare-qualcosa-con-gli-altri è una dimensione che oggi non viviamo più e sento che è estremamente necessaria. Il teatro ha questa opportunità, dovremmo sfruttarla, perché il romanzo e il cinema lo hanno liberato dal compito di raccontare una storia. Di conseguenza nel teatro siamo liberi di darci a un altro gioco più politicamente coinvolgente". Questa centralità della presenza fisica ha anche risvolti drastici, come il fatto che chi non partecipa a Domini Públic non potrà mai farne parte: "Chi vede il mio spettacolo ripreso dalla tv non può sapere niente di quel che ci diciamo, perché nessunopuò ascoltare l'audio se non è dentro lo spettacolo".
In molti suoi spettacoli Bernat cerca il perturbante, ad esempio in uno dei suoi precedenti lavori mostra corpi di adolescenti nudi, che generano negli spettatori reazioni a volte poco gradevoli, come scoprire aspetti di sé che forse non sospettavano. "Nel teatro si deve assolutamente cercare il conflitto - spiega - e invece cerchiamo sempre di lasciarlo fuori. La comunità è piena di conflitti, che si annunciano con evidenza in Domini Públic: ‘Ah, quello lì guadagna più di me?' Quando ti trovi di fronte a una cosa del genere, ti devi per forza fare qualche domanda".
Ma dove sta, realmente, l'aspetto politico che Bernat evoca in questo tipo di teatro? "Il mio è uno spettacolo politico più nel senso di Artaud che di Brecht. Per Artaud il corpo dello spettatore era corpo politico. Quando si parla di Artaud c'è una certa diffidenza riguardo la sua idea di mettere a lavorare il corpo dello spettatore, quasi come se fosse un lavoratore alienato. Ma noi dobbiamo rivendicare una dimensione fisica. Le prime volte che facevo lo spettacolo ero preoccupato perché pensavo che ci fosse qualcosa di fascista, per il fatto che ho il potere di manipolare gli altri, ma dopo ho capito che non è così, perché tutti capiscono che è un gioco. Se io dico ‘violenta le donne' nessuno lo fa. Le coreografie di massa dei totalitarismi erano brutti spettacoli, perché l'individuo era l'ultimo degli attori. Ma anche nelle nostre democrazie siamo attori solo una volta ogni quattro anni, quando siamo chiamati al voto, e infatti ormai le sentiamo lontane da noi. L'utopia della democrazia non è invece farti diventare attore, protagonista? Il teatro è molto vicino a questa utopia, può praticarla portandoti sul palco."
Già, ma il concetto di democrazia spesso varia da nazione a nazione, e così il rapporto con l'ordine, l'esecuzione, il modo di concepire se stessi all'interno di una massa. Bernat, che ha portato Domini Públic in molti paesi, ha potuto farsene un'idea. "Ci sono dinamiche di gruppo che sono dappertutto le stesse. A volte ci sono due o tre persone che rispondono ‘sì' subito e ce ne sono venti che lo fanno in seguito. Dipende dal gruppo, se è timido o meno, ma la timidezza dipende dal valore che si dà alla domanda. Chiedo se hai rubato a un amico: qui a Santarcangelo hanno risposto affermativamente due persone, in Messico tutti. Io credo che ognuno di noi abbia rubato a un amico, in qualche modo. È solo questione di che faccia vuoi mostrare, e la tensione che così si genera è molto bella." E che tensione c'è stata a Santarcangelo? "Qui l'atmosfera era molto seria: altre volte è successo che tutto il pubblico esplodesse in risate fragorose, ad esempio la settimana scorsa a Montreal. Qui invece lo sentivo sospettoso". Curioso, visto che fra il pubblico c'erano soprattutto teatranti e operatori, che dovrebbero essere un po' più sciolti...
a cura di Enrico Bossi (laboratorio Per uno spettatore critico, Santarcangelo 40)
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