È possibile forzare la materia, affinché dalle sue crepe irrompa la creatività? Se ci allontaniamo dal consueto, dal valore d'uso, il guasto ci può aprire gli occhi sulla vera natura di un oggetto, per una nuova appropriazione. Nella discarica del contemporaneo, oggi, nulla è rotto; tutto ha solo esaurito la sua funzione. Lo spazio-spazzatura è sovrabbondante e indistinto, sintomo di una pigrizia mentale che fugge il pensiero. "Design urbano sostenibile" - il laboratorio ideato da Manolo Benvenuti - resiste e reagisce a questa condizione, stimolando il risveglio dell'immaginazione. "Invece della creazione onoriamo, apprezziamo e abbracciamo la manipolazione" (Rem Koolhaas). Lo sforzo creativo fa rinascere il legame natura-vita, che consente al soggetto di riappropriarsi dello spazio. Un mucchio di bancali di legno, accatastati nei giardini di via Ruggeri, diventano così materiale per creare sedie, tavoli, persino edifici. La natura, però, non è arrendevole, resiste più di quanto Benvenuti non voglia ammettere: lo dimostrano i piedi di porco, i seghetti, i martelli - tutti strumenti indispensabili alla manipolazione, per vincere la resistenza della materia. Questa è la ricchezza che il laboratorio ci comunica: la natura non è indifferente, non è plastica che si piega sotto le nostre mani. Nel confronto con essa, in questa lotta riconciliante, si redimono la natura-morta, lo spazio-spazzatura, e l'uomo-automa. Nel combattimento si scoprono i propri limiti, quindi il bisogno degli altri. Nel laboratorio nasce una piccola nuova comunità creativa dalle mani sporche, senza la paura di graffiarsi; le conoscenze si condividono affinché il riciclo stesso non rientri nella logica del consumo. Così comincia la guerra contro l'orizzonte piatto del nostro mondo, contro un'industria che produce ricchezza in cambio di esistenza (si parte dalla Buzzi Unicem, ex-cementificio dove è iniziato il laboratorio), e si occupa la città con lo scarto masticato, digerito, rimesso, riportato alla vita.
Matteo Vallorani