"Quando la direzione artistica del festival mi ha chiesto di presentare un progetto per Santarcangelo 40, aveva sottinteso una relazione diretta con gli spazi urbani. A me è venuto subito in mente un lavoro incentrato sul concetto di proprietà che sto ideando insieme a Ericailcane. Così è partito Mio. Due le idee iniziali: l'orso disegnatore a cura del writer e un telo rosso come luogo della rappresentazione". Silvano Voltolina precisa in questo modo la natura del laboratorio condotto a Santarcangelo nelle due settimane prima del festival. I protagonisti delle performance diffuse per il paese sono nove attori fra gli 8 e i 10 anni, "che da professionisti maturi si sono assunti ogni responsabilità - racconta Silvano Voltolina - per esempio nell'ottenere le concessioni per i murales, semplicemente chiedendo il permesso porta a porta. In Mio ho lavorato su ciò che tutti possediamo sin dalla nascita: il nome". Per farlo Voltolina ha chiesto ai bambini di Santarcangelo di esplorare i verbi "avere" e "essere", e restituire in cambio una "cartografia emotiva e infantile", disegnata, colorata sui muri e messa in scena attraverso alcuni esercizi teatrali appresi nel laboratorio. "Non solo riscaldamento: abbiamo strisciato sui muri del paese, giocato con le ombre, osservato gli anziani che giocano a carte, tutti gesti di un passato che non c'è più", ma che serve per capire il presente. E non solo ai bambini. Necessario a questo proposito il riferimento a Federico Moroni, pittore santarcangiolese che portò la vita dai campi in classe - animali compresi - chiedendo ai piccoli di disegnarla per capirla. Metodo appreso e riproposto in Mio prima nel laboratorio e poi nell'intervento di arte urbana. Così agli spettatori del Festival è capitato di imbattersi in un coro di piccoli interpreti vestiti di rosso che spiegavano ai grandi come si sta al mondo. Seduti su un muretto di pietra o sdraiati per le vie del paese, senza alcun timore di un giudizio, i bambini hanno dichiarato i loro intenti (non lavarsi i denti e scaccolarsi liberamente prima di tutto) e una loro descrizione, poco importa se parecchio fantasiosa: "Sono Alessia, sono bella, alta e simpatica, ho una macchina anche se è di mio papà, ho una casa anche se i muri sono della città..." Non indisciplinati, semmai furbi, quasi strafottenti, ottengono tutto ciò che vogliono, e se proprio non riescono, se lo immaginano. E forse dovremmo imparare a farlo anche noi.
Martina Melandri