Mi chiedono di scrivere un pezzo sulla cosiddetta street art, arte di strada, arte pubblica. E come tutto questo possa essere inserito all'interno del festival di Santarcangelo, come e se ci siano dei parallelismi tra le diverse forme d'arte. Forse questa è la domanda dalla quale sono partiti gli organizzatori, forse è proprio a questo che vogliono provare a rispondere. Abbiamo cercato di ordinare le idee, concentrandoci su tutti gli aspetti possibili e ci siamo trovati a valutare una infinità di spunti. Mi dico: il teatro lo cerchi, lo vuoi, lo percepisci, scegli di avvicinarti a qualcosa che ha un nome, un titolo, in ogni caso una riconoscibilità, salvo le infinite escursioni in ambiti sperimentali, è un gesto del tutto consapevole quello di porsi davanti alla scena. Un muro lo scopri, magari per caso, nascosto dietro ad un angolo e l'interpretazione è libera. Potenzialmente siamo tutti artisti di strada, tutti in un modo o nell'altro abbiamo disegnato sui muri, da bambini, quando i pennarelli all'alcol ci stordivano o con le mani ci misuravamo con un astrattismo non accademico, salvo poi dimenticare. Diventare grandi è dimenticare, diventare grandi è dimenticare il gioco. Spesso è dimenticare il segno. E l'intraducibilità del segno disegnato che trasforma questo racconto a colori in una lingua universale, penso: un sole disegnato è un sole da tutte le parti del mondo, e se disegno un albero lo riconosco, riesco a riconoscerlo tra gli altri. Se mi limitassi ad usare le parole, mi limiterei nella possibilità di comunicare. Non riuscirei a spiegare il rosso in tutte le lingue del mondo ma se stendessi una pennellata di questo colore sul muro, quel muro sarebbe rosso per tutti. Considero banale questa affermazione, ma necessaria. Non so quale sia la formula più semplice per raccontare un disegno su un muro. Penso che sia anche inutile spiegare. Lasciamo la libera valutazione alla fantasia che scaturisce dalla sorpresa nel vedere comparire qualcosa su una superficie altrimenti anonima. Torniamo per un attimo bambini nel godere di una piccola novità. E questa novità tocca un piccolo centro e in questo piccolo centro nasceranno nuove suggestioni che potrebbero cambiarne la faccia. Un luogo potrebbe magicamente trasformarsi con l'aiuto del colore, il passaggio è semplice, lavorare sullo stato delle coscienze. Rendere questa trasformazione un'abitudine, questo potrebbe essere un buon punto di inizio.
Nb: mentre scrivo queste parole i disegni stanno prendendo forma sotto le pennellate di Ericailcane, Dem, 108, Run, Hitnes, Kabu, Allegra Corbo e non sappiamo ancora cosa nascerà. Questo fa parte del gioco.
Andrea A. Di Carlo
Fare dello spazio urbano un teatro naturale della creatività. Questo è uno dei presupposti dell'arte urbana in genere, e certamente anche della street art. Le città globali si trasformano in luoghi utopici (e distopici) dove si schiudono mondi, visioni da un altrove che parla anche del nostro presente. Così Santarcangelo, che si fa teatro diffuso per il festival, della metropoli globale assume il segno pur non avendone la vocazione, grazie alla presenza degli artisti nazionali e internazionali e alle loro tracce sparse sul territorio. Un segno che è a metà strada tra il futuro e l'antico, tra una cartografia medievale e una visione prospettica d'architettura moderna. Perché lo spaesamento che la seconda può provocare si intreccia perfettamente con le suggestioni della prima, e come in un bestiario fantastico il percorso urbano può trasformarsi in un viaggio in cui ci si imbatte in figure mai viste, animali mitologici, mostri nel senso etimologico del termine, apparizioni, il manifestarsi di un segno divino che è rivelazione ma allo stesso tempo monito. Questa è un'estate in cui si narra di polpi divinatori, e ci si muove lungo un festival attraversato da porci dimezzati e da uomini con la testa di cavallo, come moderne divinità egizie (già avvistate, per altro, da un oracolo moderno come Google street view). E perdendosi per le strade è facile imbattersi in figure ibride che prendono forma, topi dimezzati con la testa di conchiglia, orsi siamesi, pipistrelli giganti ed enormi bambini blu. Uno scorcio urbano che prima passava inosservato diventa vertigine, finestra su un altrove che le figure inquiete plasmano davanti ai nostri occhi, attingendo alle inquietudini degli improvvisati flâneurs che si fermano a guardare. Lo sanno bene gli artisti che stanno popolando i muri di Santarcangelo di bestie immaginarie, che con la letteratura fantastica medievale hanno più di un punto di contatto, perché come quella fanno leva sui fantasmi, dandogli forma e anima attraverso linee e macchie di colore. Mutazioni, figure ibride, animali giganti sono le tracce zoomorfe delle inquietudini e dei rimossi del nostro presente che quando si manifestano non provocano necessariamente spavento, ma a volte perfino esaltazione per il fatto di avere finalmente davanti agli occhi qualcosa che non aveva forma, non aveva nome. Nominare il mondo significa crearlo, pensarlo, poter interagire con esso; è il compito che Dio assegna ad Adamo nel giardino dell'Eden, quando gli dice di dare un nome a tutti gli animali. Senza usare le parole a volte l'arte è in grado di nominare il mondo che ancora non è stato nominato.