RECENSIONI > Non e' star sopra un albero: Enimirc di Fagarazzi & Zuffellato, Domini public di Roger Bernat
Libertà è partecipazione, diceva Giorgio Gaber. Ma partecipazione è libertà? C'era un che di straniante nel vedere piazza Ganganelli piena di persone che, con le cuffie in testa, seguivano le istruzioni di Roger Bernat in Domini Pùblic. Perché includere lo spettatore, nel lessico del teatro contemporaneo, si traduce con democrazia, pubblico attivo, orizzontalità. Ma in quelle persone radiocomandate come Ambra Angiolini da Gianni Boncompagni ai bei tempi di "Non è la rai" non suggeriva né democrazia, né attività, né orizzontalità. E non è solo l'artista catalano a sperimentare questa deriva: se lui lo fa in piazza, Fagarazzi & Zuffellato la portano in teatro, impiegando dei volontari bendati che, maschere in volto, vengono diretti e filmati per ricreare a posteriori un film che si muove (evocandolo in frammenti audio) lungo il mare magnum del thriller. Sia l'uno che gli altri si dicono consapevoli dei limiti del meccanismo, e in Enimirc si chiede ai partecipanti se credono ci sia libertà d'espressione nello spettacolo. Niente di inaspettato, l'arte è oggi un moloch che una volta individuata un'ambiguità del reale incorpora questa e, precauzionalmente, anche il suo contrario. Se nel caso di Domini Pùblic l'associazione spontanea che viene da fare è col videogame e il gioco di ruolo, ritenute da alcuni studiosi le forme aperte della narrazione contemporanea, in Enimirc lo spunto ci porta altrove, verso un'idea di costruzione del senso che tira in ballo la postproduzione, ricordandoci che le immagini in sé non hanno senso, ma è il nostro cervello ad assegnarglielo. Enimirc, inoltre, traccia un'estetica visionaria e accattivante, che in Domini Pùblic è assente, perché chi è fuori è escluso, il centro è tutto in chi partecipa, andando a disegnare un diagramma delle differenze umane, che a volte fa sorridere, a volte riflettere. Ma una cosa la mettono a fuoco ambedue, e cioè che forse l'idea di partecipazione, nel mondo del televoto, è un campo semantico conteso tra differenti visioni del mondo, che va ripensata per essere pronunciabile.
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