RECENSIONI > Identici opposti. Lucky star di Alessandro Sciarroni
C'è una via che attraverso la forma precisa data a una superficie è capace di portare alla luce una radice di senso vitale e purissima, ed è la via che Alessandro Sciarroni ci indica con i lavori precedenti. In Lucky Star il regista compone la forma con l'abilità certosina del pittore rinascimentale o, meglio, di un fotografo, visto che il lavoro richiama la famosa opera Identical Twins di Diane Arbus, ma dall'esattezza formale della composizione il discorso, questa volta, si sbalza con meno nettezza. Protagonisti due gemelli monozigoti che nascono intrecciati l'uno nell'altro e tali resteranno per tutta la durata dello spettacolo nonostante la divaricazione spaziale: un contatto epidermico mai realmente interrotto, quasi fosse l'anima a essere siamese. Il regista marchigiano interviene live manipolandoli o travestendoli in una carrellata figurale e plastica in cui la composizione è curata al dettaglio, dal centellinarsi dei gesti, che tagliano precisi lo spazio, al bicromatismo violento che segna la complementarietà della scena. Movimenti duplicati in uno specchio abissale che rimanda una figurazione doppia e simmetrica, come una creatura bifronte germinata da uno stesso grembo. Il tema del doppio sembra suggerire la possibilità di un incontro paradossale che diventa incapacità di pensare l'altro e di costruirlo diverso da sé. Qui l'identità è letterale e lo sdoppiamento incarnato, quasi fosse possibile maneggiare, grazie alla scena, quell'insieme di repulsione e attrazione che si ha verso la propria immagine, sia questa profonda o superficiale. Lucky Star mostra un incontro perfetto perché realizzato attraverso l'uguale. È la relazione a svelarne l'impossibilità. Per questo, sul finale, ciò che è identico a sé stesso non può che morire.
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