“Libera morte, che viene a me, perché io voglio”
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Disertare il posto di guardia che ci è assegnato nella vita dalla vita è il frutto di una coraggiosa scelta senza ritorno. Ecco perché ci impressionavano tanto le morti volontarie che pullulavano nei romanzi pre-ottecenteschi, dal giovane Werther al foscoliano Ortis, già figli dei famigerati suicidi di Bruto, Giuda, Saffo e Cleopatra! Noi, baldi lettori, spettatori affascinati e doloranti, ci gustavamo il catartico distacco dalle passioni rappresentate vedendo in quelle morti ciò che più ci incuriosiva e ci faceva paura. Non troviamo via d’uscita invece dalle strette cellette dell’ex-macello di Prato, in cui la mattanza umana trova giusto luogo. Sul palco di legno, nell’unico spazio che sembra respirare, si inscena il suicidio premeditato di Corradino; ‘a vizio di lussuria’ muore in gabbia la Semiramide dei Menoventi; nell’auto di Cosmesi si consuma l’agonia per asfissia e, infine, nel mutatis mutandis-show, a Tagliarini piace suicidarsi in tanti modi, o con una ‘plastic bag’ o si fa sparare eccitatissimo con una pistoletta ad acqua. Uncini, mattonelle opache, strisce di color sangue, chiusura, soffocamento, senza probabilità di fuga: lo spettatore affronta il macello senza ribellarsi. Il dolore spurio viene trasformato in brevi performance dai giovani artisti che, sorridenti, cercano la morte per trovare un passaggio lieve e spontaneo verso un’aldilà che non conosciamo, che non vogliamo, ma che cerchiamo. È forse il suicidio la metafora di un disagio esistenziale? Il pessimismo cosmico che pervade il futuro degli artisti? Il trucco per rappresentare in un macello la mancanza di vita? C’è la curiosità (o il cinismo?) di scoprire, fantasticare sull’autre monde, forse perché la vita è ‘assenza di evento’ (a dirla con il duo Mihaylova-Pasello) e non basta, o forse perché è stata già indagata da quella generazione ’90 di cui tanto si parla. Responsabili delle loro gesta, i non-eroi di oggi bruciano in scena le loro vite senza rimpianto e per noi che guardiamo non c’è nulla di catartico. Non ci purifichiamo perché non possiamo più farlo, ma sorridiamo e pensiamo ad altro. Ormai abituati e bombardati da vere scene di morte, la paura non tocca più gli animi, non sconvolge, non colpisce. Diverte.
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