Dai primi giorni di festival aleggia una questione in molti degli spettacoli attraversati, ed è il crescente rifiuto di sottostare a stilemi o forme tecniche canoniche. Il tentativo dall’esterno di classificare le arti e le sue manifestazioni non risponde a quanto accade, dal momento che la produzione attuale, fotografata da Contemporanea, si presenta come un flusso costante di incroci disciplinari.
Di fronte all’evidente trasformazione di ciò che tradizionalmente s’intende per teatro o danza, il corpo diventa lo strumento protagonista. Il corpo è infatti luogo di partenza per narrare o per esprimersi, ma soprattutto emerge come uno spazio per sperimentare e ripensare l’arte stessa attraverso il gesto. Pensiamo per esempio all’esercizio di Kinkaleri visto al Museo Pecci, performance che letteralmente parla attraverso un alfabeto corporeo, o allo spettacolo di Claudia Catarzi, che esplora i limiti del suo stare in un luogo limitato, costruendo e decostruendo le forme proposte. Lo sguardo dell’artista coincide così con una prospettiva personale evidenziata attraverso il rapporto del suo corpo con il qui e ora.
L’urgenza che sembra emergere in questi giorni è precisamente la necessità di capire questa condizione di flusso che l’arte costruisce, che spinge l’artista a trasformare costantemente i suoi linguaggi – operazione che nei percorsi di Jérôme Bel o di altri artisti verifichiamo con forza.
Il ruolo dello spettatore è allora quello di un osservatore capace di catturare le risonanze di quanto vede, mantenendo una necessaria apertura per percepire ciò che l’evento gli trasmette. Durante la settimana di festival che resta saranno poste altre questioni e, perché no, forse emergerà qualche risposta. Aspettiamo quindi di intervenire criticamente osservando il panorama artistico grazie alla finestra disegnata dal festival.
Pía Salvatori - Laboratorio "Per uno spettatore critico"