Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Contemporanea Festival a Prato dal 23 settembre al 2 ottobre 2016.
Ilaria Drago è un’attrice, regista e performer fiorentina, dal 1995 dirige una compagnia che porta il suo nome. Si è formata nella Compagnia di Leo De Berardinis. Ha recentemente portato in scena Simone Weil - Concerto poetico (2012) e MaddalenaMaria (2014). Oltre la sua attività teatrale e performativa c’è anche quella letteraria, tra le sue ultime pubblicazioni ci sono Di Polvere e di Resurrezioni (2015, Nemapress) e Ubicazione Ignota (2015, Engelbrecht Adriano).
Più o meno tre anni fa presso gli Spazi Teatro Magazzini della Lupa hai organizzato e diretto il TSR (Teatro Sensibile di Riconnessione), un percorso di formazione per attori, critici e in generale figure inerenti al teatro. Su cosa si basava e quali erano i suoi obbiettivi? Li avete raggiunti?
Il TSR era un progetto di formazione, ma fondato sul mio modo di sentire il teatro. Penso fortemente che attorno ci sia una rete che ci unisce tutti, una forza quantica, che può essere in prima istanza la tua rete familiare, poi la tua rete di amicizie e poi la grande, immensa rete degli essere umani (sto semplificando). Il mio teatro non è d’intrattenimento ma è qualcosa che scorre nel mio sangue, e vorrei che tutti potessero percepirlo con la stessa forza con cui lo sento.
il TSR era un progetto di formazione per attori e critici, e mi avrebbe fatto piacere che anche chi scrive di teatro in generale avesse provato a mettersi nei panni dell’artista per una volta, e comprendere a pieno la fatica del processo creativo, in definitiva per entrare nel nostro lavoro con cuore, viscere e sangue. Di fatto non si è presentato nessun critico. Peccato, perché sarebbe utile a combattere una certa freddezza da parte di molti critici, mi piacerebbe metterne uno a scrivere una recensione mentre gli agito la sedia, gli tolgo la tastiera da sotto le mani e gli urlo in un orecchio, perché tu come artista devi organizzare, amministrare e fare il tuo teatro da solo sotto tutte questo genere di pressioni. Devono capire che essere in scena è essere lacerato.
Alla luce di quanto detto, qual’è secondo lei il ruolo della critica oggi, dove molti fanno fatica a entrare nel mondo del teatro contemporaneo?
Mi piacerebbe che potesse entrare in empatia con l’artista, senza la sovrastruttura dei ruoli, ma lasciandosi attraversare da quello che vede. Non sopporto le stroncature, sono giochi di potere, una vecchia storia. Non significa che ti debba piacere tutto, ma il critico deve capire cosa voleva dire l’artista. Per quanto riguarda il pubblico, per tre anni sono stata la Direttrice Artistica di una rassegna che si chiamava “Un artista vi racconta…” e invitavo un artista a sera, il quale non mostrava il suo lavoro ma raccontava aneddoti... qual’è il suo percorso artistico, da dove arriva, e solo dopo tutto questo mostrava la sua poetica.
«Fare del pensiero un’azione», È un celebre assunto di Simone Weil, da te ricordato anche il altri contesti, in che modo applichi queste parole nel tuo lavoro?
Intanto ho dovuto passare molti mesi per sintetizzare l’enorme mole del pensiero della pensatrice francese, c’è un grande lavoro di scarti anche eccellenti dietro Simone Weil - Concerto poetico, ma ho deciso di tenere ciò che dialoga meglio con il presente, e così sono rimasti undici fogli in arial 16.
«Fare del pensiero un’azione» è essere presente, chiedersi chi si ha davanti. Per fare un’esempio, vedo nel teatro contemporaneo troppa presunzione, mentre metterci la carne e il sangue fa svelare il senso. Se trovi un senso sei disposto a combattere davvero per la tua felicità.
Come pensi possa affrontare una persona un tema tanto forte come l’infibulazione? Te lo chiedo a prescindere dal tuo essere un artista.
Intanto va detto che mi sono avvicinata alla questione tramite la scrittura. Il mio ultimo lavoro letterario è proprio sull’infibulazione, e non mi sono informata guardando semplicemente qualche foto, ma prima ho voluto alternare dei momenti di contatto con le donne che hanno subito questa pratica barbara, lasciandomi attraversare dalle loro emozioni e soffrendo accanto a loro (ma mai quanto loro). Così credo di essere entrata nella materia. Per entrare nella materia ti devi sporcare le mani, è uno dei miei principi. Lo vedo come un rituale da condividere con lo spettatore e con te che scrivi. Il rituale è catarsi: se io offro me stessa per davvero su quel palco dovete percepire la verità, sono pontefice nell’accezione di colui che fa da ponte. L’idea è di non dare delle risposte, ma accendere delle domande.
Per risponderti: non girare la testa. Quella persona che ha sofferto in fondo potresti essere tu. Spesso il nostro è un meccanismo di difesa, si pensa che non si possa fare niente, ma anche salutare una persona in ascensore è una azione che migliora la nostra rete più prossima.
Nella presentazione ufficiale di Transhumance al festival Contemporanea di Prato c’è scritto: «Transumare verso un futuro possibile.» Puoi dirci qual’è secondo te questo futuro?
Ognuno credo che troverà il suo. È la transumanza degli immigrati, ma anche dello spettatore che si risente umano. Transhumance è una parte di un progetto a lungo termine, i prossimi saranno sulla “caduta” e sul “sacrificio”. Come “caduta” pensavo alla foto di quell’uomo che si è buttato dal World Trade Center, l’undici settembre del 2001, vorrei prendere quella tensione per parlare in generale del suicidio. La sessualità è un altro tabù ed è argomento che vorrei approfondire. È assurdo ma continuiamo a dividere corpo e spirito, probabilmente anche a causa dell’influenza del Vaticano sul nostro paese. Oggi si critica il burqini ma qual’è l’alternativa? I cartelloni pubblicitari dove prolifica la mercificazione sessuale? Allora a questo punto preferisco coprirmi, preferisco il burqini.
A cura di Giuseppe Di Lorenzo, laboratorio per uno spettatore critico