Interviste, recensioni, approfondimenti, interventi dal laboratorio di giornalismo "Per uno spettatore critico", in diretta da Contemporanea Festival a Prato dal 23 settembre al 2 ottobre 2016.
Dopo Crash!, performance realizzata lo scorso anno a Contemporanea Festival, l’artista fiorentina Katia Giuliani torna nell’edizione 2016 dove ha presentato by NN. La abbiamo incontrata durante l’allestimento del lavoro al Teatro Metastasio e le abbiamo fatto alcune domande riguardo il suo modo di affrontare il processo creativo, ciò che la ispira e orienta.
In diverse tue performance, così come in by NN, proponi un rapporto uno a uno tra opera e pubblico. Da cosa nasce questa esigenza?
Mi sono formata come artista visiva, quindi per me è molto importante la parte emozionale del lavoro, e trovo che il confronto con i piccoli gruppi sia non solo più diretto ma soprattutto meno dispersivo. Il pubblico ha un ruolo fondamentale nel mio lavoro: io metto a disposizione un contenitore e creo un contesto, ma ad “andare in scena” sono gli spettatori stessi, che scelgono come e cosa fare. Io sono una sorta di direttore d'orchestra. Preparo un terreno, una riflessione dove lo spettatore può muoversi e interagire con un certo margine di libertà prendendo parte in modo preponderante alla performance artistica, incarnandola quasi come protagonista assoluto. È un format preciso in cui però lascio molta carta bianca.
Le tue proposte prendono spesso la forma di percorsi che lo spettatore è invitato a compiere individualmente, ritrovandosi in un’atmosfera molto intima. Si potrebbe parlare anche di occasioni per creare una dimensione rituale? Quali sono le strade che percorri per arrivare alla tua idea performativa?
Sì, c'è una certa ricerca in questo senso. In Crash!, per esempio, lo spettatore viveva una vera e propria vestizione per poi procedere alla distruzione dell'oggetto scelto con un sottofondo musicale molto incisivo.
Credo che un artista lavori sempre su qualcosa che gli appartiene da vicino. Personalmente ho diverse anime, sono legata alle filosofie orientali e l’elemento della ritualità mi sta parecchio a cuore. Ho letto tanto Alejandro Jodorowsky e amo la ricerca spirituale, ma nello stesso tempo convive in me un lato dark forte. E infatti in Crash!, mentre nella fase della vestizione emerge il primo aspetto, quando consegno allo spettatore la mazza per distruggere l'oggetto che ha scelto emerge l'altro lato, quello più oscuro appunto. Mi piace navigare tra queste dimensioni.
Non ti viene mai la tentazione di osservare quel che accade durante questi percorsi. Non potrebbe essere un’occasione di studio delle reazioni del tuo pubblico?
No, tengo molto a questo aspetto. Quando parlo di spazio intimo solo per lo spettatore intendo esattamente questo, non mi metto dietro una tenda a osservare ciò che accade. Anche in by NN l'anonimato di ognuno è tutelato in modo accurato. La persona sarà accompagnata in un palchetto/ufficetto dove troverà carta, penna e un’abatjour, quindi invitata a scrivere qualcosa, ma il luogo sarà totalmente preservato e il suo testo, una volta chiuso in una busta e inserito in una scatola, verrà da me ritrascritto con un font standard, neutro per essere proiettato e condiviso, ma nel totale anonimato. Credo che a un certo punto lo spettatore capirà il meccanismo, ma allo stesso tempo percepirà la volontà di mantenere la sua azione in un luogo protetto, in cui potersi esprimere liberamente. E questo lo dico consapevole del fatto che le persone potranno sentirsi di usare quello spazio come occasione per esprimere delle verità magari mai dette, ma anche preferire di fingere e raccontare qualcosa di totalmente estraneo alla loro realtà. Poco importa.
Questa volta la performance avviene in teatro, è un luogo anomalo per te?
Sì. Quando me lo hanno proposto pensavo di non accettare, avendo in mente tutt'altro: pensavo a uno spazio urbano aperto, certamente non a un teatro classico come questo! Ma poi ho raccolto la sfida e alla fine non mi dispiace affatto, sono riuscita a fare gli interventi che ritenevo opportuni per andare in direzione della mia idea.
Abiti e lavori a Firenze. Come vivi il tuo essere artista nel panorama contemporaneo a partire dal tuo territorio?
Bisogna essere innanzitutto parecchio convinti. Oggi più che mai non è facile. Firenze poi è sempre stata un mondo chiuso, conservatore, che se apre al moderno e al contemporaneo lo fa solo in termini commerciali, portando artisti di fama già consolidata come per esempio Ai Weiwei, ma non fa nulla per far emergere il sotterraneo, le “avanguardie”, le giovani leve, il meno noto, anche relativamente alle realtà locali. Così ci troviamo spesso a dover andare all'estero, benché c’è da dire che nel resto d'Europa non è che le cose vadano tanto meglio. Contemporanea Festival è una delle rare situazioni in Toscana dove qualcosa si muove.
Sei artista visiva, performer e grafica. In che modo il tuo percorso connette fra loro queste diverse strade?
Sono divisa tra due vite parallele. Faccio anche la grafica, tuttavia le strade in me si intrecciano e si completano. Il mio legame con l'attività di grafica è di carattere artistico ed è connesso al design. Sono nata come grafica, poi, dopo l'Accademia, ho intrapreso un percorso prettamente artistico e performativo ma mi occupo da sempre anche di allestimenti e installazioni. Il mio lavoro artistico è molto legato all'aspetto visivo. Sono stata docente di progettazione presso l'Istituto Europeo di Design e oggi infatti mi definisco contemporaneamente artista visiva, perfomer e designer. Nessuno di questi aspetti è minore dell'altro in me, confluiscono tutti a delineare il mio profilo professionale. Posso dire che sono tutti ambiti in cui mi muovo per passione e necessità. Amo ricreare, ridisegnare gli spazi; che questo poi accada in teatro, per strada o curando l'arredo di una palestra non importa molto.
Alla Munchenbach - Laboratorio "Per uno spettatore critico"