INTERVISTE > Coltivare frammenti di teatro. Conversazione con Stefano Pasquini e Paola Berselli del Teatro delle Ariette
Dopo avere visto Estate.Fine a Santarcangelo avevo pensato a un evento non avrebbe potuto produrre delle repliche. Invece, dopo un anno, eccoci a Prato a discutere dello stesso spettacolo! Il lavoro ha cambiato i suoi connotati, uscendo dal campo coltivato in Romagna per trasferirsi nei luoghi che lo richiedono. Com’è avvenuto questo passaggio?
Dopo Santarcangelo, sentivamo l’esigenza di confrontarci con degli spazi non naturali. Partiti dal Deposito Attrezzi, siamo giunti sino a Ferrara. In questo momento esistono due versioni dello spettacolo, una per esterni e una pensata per luoghi chiusi. Attraverso le tappe che abbiamo toccato, ci si è palesata una netta suddivisione che non avevamo chiaramente afferrato: una prima parte chiamata ‘Corteo’ dove conduciamo lo spettatore dietro al baule, il ‘rito’ centrale e ‘l’ultima cena popolare’, che al riferimento religioso uniscono un chiaro richiamo alle Feste dell’Unità. Una differenza sostanziale con la prima versione è presente nella cena: le musiche continuano a lungo e ci è capitato spesso che molti spettatori si siano fermati a ballare. Ci siamo portati con noi un doppio cd di Casadei! Poi c’è Pasolini. Estate.Fine è dedicato a lui, come è evidente dal sottotitolo ‘Verso Pasolini’. Le sue parole e visioni restano il retroterra dal quale partiamo. Forse, quello che lo rende ancora oggi così attuale, è la sua capacità di vedere attraverso il tempo in termini di storia. Come il bambino che diventa adulto e perde la sua innocenza, il mondo disegnato da Pasolini stava degenerando da una tradizione contadina verso l’attuale società dei consumi.
In un ciclo ad ogni morte corrisponde una nuova nascita. Ma verrà anche un momento in cui tutto finirà, e non ci saranno più nuovi inizi. Il mondo come lo conosciamo sarà inghiottito dal sole, e non ci è dato sapere cosa avverrà dopo. Questo aspetto si riflette nella idea di fine dello spettacolo?
La tua riflessione, applicata al destino ultimo della terra, è ravvisabile in tutti i cicli più piccoli: il grano che muore non è lo stesso di quello che rinasce! Ogni ciclo è composto da tante nascite e da tante morti. Nella parte del rito siamo riusciti a trovare una conclusione brusca, molto aperta e sfuggente, dove chi guarda non può trovare una consolazione. Non a caso, quasi mai il pubblico sente il bisogno di applaudire. Delle tre parole del titolo noi conosciamo solo le prime due, ‘L’Estate’ e ‘il punto’. Della fine non ci è dato sapere. Non è chiaro se e come ci sarà un nuovo inizio. Estate.Fine è un’interrogazione alle zone di mistero. Alle tantissime cose della vita evidenti ma incomprensibili, come la morte.
Se il momento della festa non è consolatorio potrebbe essere una sorta di sospensione: in attesa di tornare a disperderci nel mistero partecipiamo insieme delle gioie che ci danno L’estate e Il punto…
Mangiare rende felici. Eppure, dietro a una salsiccia, c’è un animale ammazzato. E non è una questione di essere vegetariani o meno: anche l’insalata sul mio piatto non sarà mai più seme, cosi come il chicco di riso non si potrà più piantare. È come se il nutrimento, e quindi la vita, derivassero sempre da delle morti. E questo non è molto consolatorio. Forse, è un modo per stare con quello che si ha, come quando dopo i funerali si va a bere qualcosa con le persone convenute alla cerimonia.
Questo giornale si sta interrogando, fin dal primo giorno di festival, su un possibile senso odierno del fare teatro. Immagino che passare dall’agricoltura al teatro vi abbia portato più volte a riflettere su questa questione…
Il teatro, inserito nella società dei consumi, non è nient’altro che una merce. Al pari di qualsiasi altra cosa che si vende. E il termine ‘Contemporaneo’, che non si usa più per indicare qualcosa che avviene nel presente, è diventato un’etichetta che si applica a quello che sta al passo con i tempi. Contemporaneo è chi ostenta quei precisi segni di riconoscimento che si dimostrano punta di una tendenza. Noi non siamo d’accordo. Le Ariette rivendicano il diritto a essere contemporanei pur decidendo di non apparire ‘al passo coi tempi’. Fatta questa premessa, rispondere alla tua domanda è molto difficile. Potrei replicare con un'altra questione: “Qual è il senso della vita?”. Il teatro, come la vita, è una cosa che ci è toccata, una sorta di condanna. Ma può essere anche un luogo dove riflettere sul mistero, dove tentare di affrontare di petto tutte le domande sulla Fine. E condividerle: il valore aggiunto del teatro sta proprio in questo tentativo di mettere in comune i temi che affronta.
Quale futuro immaginate per il teatro? In quale situazione ci troveremmo se avessimo la possibilità di vedere avanti di trent’anni, per esempio?
La società dei consumi ha aumentato a dismisura la presenza di target ed etichette riconoscibili. Se un tempo c’erano tre marche di biscotti, oggi ce ne sono cento e fra trent’anni ancora di più. Qualsiasi idea, proposta o novità viene legittimata. Si tratta di degerarchizzazione, dal un lato, ma anche di frammentarietà dispersiva dall’altro. Crediamo che in futuro il teatro sarà sempre più scisso in tante micro-proposte, ognuna con il suo micro-seguito. Non è una prospettiva esaltante! Le differenze sono fruttuose se trovano il modo di venirsi incontro. Se non c’è scambio fra le singolarità il senso del teatro si disperde.
Ma non è il caso di essere totalmente pessimisti. A ben guardare, proprio nel fondo della bottiglia, il teatro possiede ancora una naturale aspirazione al confronto. Se siamo fortunati questa vocazione non si perderà. Il teatro, forse in virtù del suo essere nicchia di nicchia, è uno dei pochi posti che rimangono difficili da controllare e omologare. Da dove è ancora possibile piantare qualche seme.
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