INTERVISTE > Tecnologia sulla scena di Giacomo Bernocchi
Tropic è il tuo nuovo lavoro che fa parte di un progetto che hai chiamato Pureshow Tech, che cos’è?
Ho pensato a dei formati che avessero dei tempi molto brevi e in successione, come le tracce di un disco. L’idea di "Pureshow technology" è proprio quella di pensare a un lavoro come “tracklist”, cercando la collaborazione di danzatori, musicisti, artisti. Il primo studio, intitolato proprio Tracklist, è stato presentato al Fabbricone di Prato i primi di marzo. A quel punto si è delineato un altro momento al Teatro Studio di Scandicci dove si svolgevano cinque-sei assoli per due danzatori, tutto in assenza totale di musica. Tropic continua questo percorso, è una sorta di bonus-track, cioè una specie di traccia extra dell’album. L’intenzione è quella di lavorare su dei formati molto brevi, molto lontani dai tempi canonici degli spettacoli. È una dimensione che mi è sempre appartenuta, i miei primi due lavori Novalis, spettacolo per un solo spettatore e Narcisus set durano uno otto e uno venti minuti.
E a parte la brevità cosa lega Tropic ai tuoi precedenti spettacoli?
Senza dubbio il lavoro sulla percezione. In Novalis l’unico spettatore viene messo in una situazione di assoluto disorientamento perché è seduto su una sedia che ruota. In Narcisus set la scena è invece come suddivisa in una doppia proiezione asincrona di immagini: una traccia video in diretta e una registrata. Tropic punta a una sorta di violenza sensoriale, di stordimento percettivo. I due danzatori sono messi per dodici minuti in una condizione estrema, perché vengono colpiti ripetutamente da due luci stroboscopiche da 1500W. Appaiono iper-illuminati, ma non vedono niente. Pur accecati da troppa luce, eseguono la stessa partitura e dunque sono costretti a sviluppare una sorta di sesto senso, un controllo estremo sui tempi. Non si vedono tra di loro e non vedono lo spazio circostante.
E il pubblico?
Le luci stroboscopiche sono a un lampeggiamento molto alto, per cui sembrano quasi luci fisse se non fosse per il costante tremore. Ho pensato alle vecchie pellicole, sia nella qualità visiva, sia in quella uditiva. La pellicola che gira ha lo stesso rumore della luce strobo quando lampeggia. Da un altro punto di vista le luci tagliano in modo netto e preciso la scena come un cerchio tropicale. Tropic viene fuori anche per la temperatura calda evocata dalla concentrazione di luci. I due danzatori sembrano insetti impazziti, come nelle notti d’estate quando si fondano sui neon illuminati.
Come è nata la coreografia?
Una volta creato l'ambiente, le dimensioni dello spazio entro cui muoversi, il lavoro si è basato sul ritmo. All'inizio cercavo qualcosa di riconoscibile di pop…
Pop o hip-pop?
Hip-pop è un termine molto ampio che comprende tutta una serie di tecniche. Per questi dodici minuti si tratta soprattutto di elettro-pop con anima punk. Non sono un danzatore e quindi c'è un atteggiamento molto istintivo, basato soprattutto sul ritmo. La gestualità volevo che fosse in alcuni punti riconoscibile.
Tra venti, trent’anni avremo ancora bisogno del teatro? Dell’arte?
Che bella domanda… adoro la fantascienza. La prima cosa che mi chiedo e se vivremo in tempi di pace o in tempi di guerra. In ogni caso penso avremo sempre bisogno di arte, teatro, creazione. O meglio ci sarà sempre qualcuno che ne avrà bisogno come esigenza profonda e irrinunciabile. L’arte sta nel tempo in cui vivi, ma per molti aspetti lo trascende non preoccupandosi del periodo storico. Penso che qualcuno avrà sempre necessità di arte.
E la tecnologia?
Esiste una tecnologia di scrittura, una tecnologia di movimento, di luci, audio, video ecc. La parola tecnologia non significa necessariamente apparecchiatura tecnologica. Per me la tecnologia è una forma di conoscenza e di lavoro, nel senso che per tecnologia intendo anche un modo di procedere nella creazione di uno spettacolo. Anche se le apparecchiature, qualunque esse siano, devono essere realmente funzionali al progetto e non semplice esposizione o tappezzeria. La tecnologia fine a se stessa non ha più senso.
Di questi anni, di tutti questi gruppi cosa resterà? Diventeranno tradizione o si procederà per azzeramenti?
Viviamo in una società sopraffatta da iper-comunicazione, nel senso che vi sono informazione che corrono ovunque. In un mondo globale e globalizzato, il teatro rimane un luogo per pochi e lo sarà sempre di più.