E’ un drammaturgo Josè Sanchis Sinisterra, nuovo direttore artistico del Teatro Metastasio di Prato. La sua passione la dichiara subito nelle considerazioni su Contemporanea 05. Ha un’obiezione da fare, per dichiarare un programma.
Ho un dubbio. Ed è che sotto l’etichetta di ‘contemporaneaità’ sia contenuto uno sfasamento verso i linguaggi non verbali, del corpo, dell’immagine, della pulsazione sonora. L’accento è come spostato su una dimensione della teatralità che nei teatri più convenzionali non ha un peso specifico così forte. Ma a volte sento questo fatto come una limitazione, perché, per me, esiste anche un altro tipo di contemporaneità, un tipo di drammaturgia, anche letteraria, che parte dal testo. Uso definire questa modalità di lavoro ipertestualità. Una modalità rintracciabile in alcuni drammaturghi contemporanei, penso a Velère Novarina, a Martin Crimp, al mio connazionale Juan Mayorga. Penso, cioè, a coloro che lavorano a un rinnovamento del teatro a partire dal testo: un percorso di decostruzione della testualità, della costruzione drammatica, della composizione drammaturgica che sposta il livello del discorso verbale in direzione non convenzionali. E lì, per me, si può rintracciare una grande possibilità di rinnovamento.
Negli anni settanta la priorità del testo è stata negata. Spesso nel nome Artaud si è affermato il gesto, l’urlo, il comportamento, l’happening. E ora è come se si volesse tornare indietro, a quelle esperienze, già fatte. Abbiamo memoria di certe formule che oggi si ripresentano dando l’idea di essere l’ultimo grido della teatralità.
Io, già allora preferivo un teatro ‘fronterizo’, come diciamo in Spagna, di frontiera. Così si chiamava il nostro gruppo. Ho voluto sempre stare nella frontiera tra letteratura e teatro. Perché buttare il testo prima di vedere che cosa si può fare con il testo? Ogni volta che si parla di testo drammatico sembra che i discorsi debbano ridursi al contenuto, non c’è uno spazio per la creazione dell’attore, del regista, dello scenografo… È una parola prepotente, onnipotente. Per questo ho iniziato a lavorare intorno a questo concetto portando la narrativa alla decostruzione del testo drammatico. Ho lavorato a vari testi narrativi tra cui Joyce, Beckett, Melville e altri, testi in qualche modo refrattari alla teatralizzazione, per vedere come potevano destabilizzare il concetto di testo drammatico…
Nel mio percorso, intorno alle opere narrative, ho scoperto il grosso potenziale che ha la letteratura per il teatro. Non parlo della letteratura drammatica dove tutto è costruito, guidato, dove la costruzione del senso è pre-cucinata.
Per me e la gente che ha lavorato intorno al Fronterizo, il testo ha ancora qualcosa di nuovo da dire, non solo per il contenuto, ma in relazione alla produzione del senso e della ricezione del senso. In questa direzione sono molto contento di poter rintracciare, dopo gli anni novanta, una testualità trasgressiva e innovativa che per me è ancora più destabilizzante di molti spettacoli mixed-media.
Non pochi spettacoli mixed-media, ovviamente i più seri, in realtà sono basati su una testualità fortemente rigorosa. Sono come “atti senza parole”, per citare Beckett. Presentano una precisione concettuale e anche testuale estrema. In questa condizione di testo esploso le due posizioni non sembrano poi così lontane…
Ho come l’impressione, a volte, che questi lavori creino una separazione netta tra letteratura e scena, parola e non-parole e come tutte le frontiere è stupida. Per me la frontiera è un luogo di passaggio, permeabile, di tradimenti, il luogo anche della promiscuità, non una linea di demarcazione. E il concetto di drammaturgia è altrettanto necessario a teatro del testo che in quello delle immagini o di danza. Si tratta di organizzare, di comporre il pensiero e le immagini del nostro interlocutore, la sua costruzione di senso. Allora la drammaturgia è strategia, processualità, consequenzialità. Ma si può esplicare in molti linguaggi.
Come si inserisce, allora, in questo sguardo alla drammaturgia che diventa attenzione a diverse possibili drammaturgie un’esperienza come Contemporanea05?
Sto osservando il festival. Sono arrivato da poco e non abbiamo ancora avuto modo di parlare. Ma credo che si debba pensare a una permeabilità anche maggiore tra l’attività normale del Metastasio e Contemporanea. Non uno spazio autonomo e marginale. Credo ci possa essere una fecondazione reciproca. Si potrebbe incaricare un creatore che ha partecipato al festival di realizzare un evento o un progetto per la stagione. La conservazione nel teatro è sempre pericolosa. Per questo Contemporanea è importante. Non come epifenomeno, ma come motore dell’evoluzione del teatro. Per una scena veramente senza limiti. Ma si badi bene: non c’è innovazione senza memoria; altrimenti si scopre l’acqua calda.
Sì, certo, però non basta la memoria: certe volte la storia cancella, travolge, e allora la generazione successiva deve riscoprire, rivendicare i suoi spazi…
Deve fare le sue esperienze. L’emergenza del nuovo è importante per ogni generazione. Si ama dall’inizio dell’umanità, eppure ognuno di noi ama o muore per la prima volta.
Dobbiamo scoprirla insieme l’acqua calda. Buon lavoro, direttore.