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Ivrea Cinquanta – Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967 – 2017. Genova, 5-7 maggio


29/03/2017
Un teatro in mezzo ai campi: 8 aprile con le Ariette


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''La formazione del nuovo pubblico'': un convegno sabato 25 marzo ad Albenga


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La cultura nell'economia italiana: il 13 gennaio un convegno a Bologna


05/12/2016
Impertinente Festival: il teatro di figura a Parma, dal 7 all'11 dicembre


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Master in imprenditoria dello spettacolo, Bologna, anno accademico 2016-2017


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Dalla Cultura alla Scuola: ''Cosa abbiamo in Comune'', il 7 settembre a Bologna


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Electro Camp – International Platform for New Sounds and Dance, a Forte Marghera dal 7 all'11 settembre


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Che cosa è veramente importante, oggi, quando parliamo di attori?
Non è facile isolare delle questioni senza cadere nelle trappole di un linguaggio spesso usurato, o che finisce per restringere un campo che vediamo estremamente aperto. Per ora vogliamo sostare attorno a due punti piccoli e sostanziali: attore è chi agisce sulla scena, luogo socialmente riconosciuto; attore è chi viene guardato da persone convenute nello stesso luogo e con lo stesso preciso fine.

Cosa sei tu, mentre abiti la scena, luogo dell'azione e della visione?
Cosa vedi, mentre sei in scena?
Quanto e come ti senti (o non ti senti) dentro ciò che viene definito “rappresentazione”?
E ancora: cosa vedi mentre guardi il lavoro degli attori? Come guardi il loro lavoro?
Chi è quella figura che abita la scena, quando sei tu a guardarla?


Che cosa è veramente importante, oggi, quando parliamo di attori?
Non credo che ci sia una categoria di ” importante” sotto cui raccogliere una serie di elementi che tratteggino una definizione di attore. L’ attore esiste all’interno di un gioco e di un contesto: in sé è indefinibile e se ci provo arrivo alla stessa frustrazione che mi attacca quando cerco di definire cos’è l’Uomo (nel senso di Antropos… che abbraccia anche la Donna..), o la Bellezza… Eppure, quando vedo lavorare un attore, è assolutamente tangibile quello che è ed è la qualità di quello che fa e l’abilità con cui lo fa che rende la natura del suo esserci indiscutibile e incontrovertibile. Quest’abilità, se dipende da molti fattori, che non sto a elencare perché infiniti, è altrettanto legata alla padronanza e comprensione e adesione dell’attore al sistema di gioco sul quale lo spettacolo si fonda. 
Questa vocazione ad accettare il gioco, le parti, i ruoli fa sì che la figura dell’attore sia presa a prestito come paradigma dell’esistenza umana. Penso a centinaia di testi teatrali, da Amleto in avanti fino a Bernhard e oltre, ma non voglio rischiare di essere autoreferenziale (appartenendo comunque a un mondo, quello teatrale, che storicamente è chiuso in se stesso). Allora porto come esempio l’ultimo film di Moretti Habemus Papam, o Toro scatenato di Martin Scorsese che ho rivisto ieri sera in Piazza Maggiore con migliaia di persone. In tutte e due i film, con differenze di stili e intenzioni e tutto il resto, l’attore diventa la figura attraverso la quale interpretare la vita di un uomo in relazione al mondo, quello che lo circonda e quello che lo sovrasta, in relazione al vuoto che appare appena si abbandonano i concetti di passato, presente, futuro e ci si trova in un presente senza limiti (come fosse uno spettacolo), in relazione allo smarrimento che ci prende ogni volta che ci accorgiamo che la realtà che viviamo è solo una delle tante possibili (come fosse uno spettacolo). Per questo se penso che non ci sia una categoria di “importante”, altrettanto sono convinta che la figura dell’attore non può non essere investigata nell’ambito della categoria dell’”oggi” vale a dire del tempo dove esso opera e vive.

E ancora: cosa vedi mentre guardi il lavoro degli attori? Come guardi il loro lavoro?
E qui il pensiero mi torna alla incontrovertibiltà e indefinibilità di ciò che è un attore: Michel Piccoli nel palchetto, che guarda un Cechov caduto a pezzi, è lo sguardo di ogni uomo di fronte ad ogni scelta, De Niro che prende il muro a pugni nel buio dell’isolamento gridandosi “stupid stupid” è la disperazione di ognuno di fronte ai propri errori. Io non me lo sono chiesto se erano attori, non avevo la testa né il corpo perché era tutto lì con loro. Ecco cosa guardo quando vedo il lavoro degli altri, quando questi altri riescono a farmi rinunciare alla mia incredulità. Diversamente sì, mi viene da chiedermi cos’è un attore e cos’è la rappresentazione.
Ho fatto esempi tratti dal cinema e so che può sembrare fuori luogo e forzato. Ne potevo fare anche sul teatro, ma ho preferito prendere due esempi che sicuramente sono conosciuti e valutabili da tutti o dalla maggioranza delle persone. Un’altra cosa che mi viene in mente ora mentre sto chiudendo questo discorso è Wilhelm Meister di Goethe e Il Candido di Voltaire. Credo che varrebbe la pena di leggerli pensando a cos’è e cosa rappresenti l’attore e il teatro 

Cosa sei tu, mentre abiti la scena, luogo dell'azione e della visione? 
Un’attrice

Cosa vedi, mentre sei in scena? 
Faccio soltanto. La visione, se c’è, viene prima ed è l’immaginario che si crea nella preparazione del lavoro a partire dai materiali e dalle modalità di prova
 
Quanto e come ti senti (o non ti senti) dentro di ciò che viene definito “rappresentazione”? 
Credo di aver già risposto. Ho smesso da tempo di aver paura di questo termine. I bambini con i quali lavoro mi hanno molto aiutato: loro fanno solo e sempre delle “scenette” ma queste sono un precipitato di presenza e forza che pochi spettacoli mi hanno trasmesso.  “Ma quando reciti, tu pensi che quello che fai sia vero?” mi ha chiesto una bambina di otto anni dopo aver visto uno spettacolo molto complesso ispirato a Otello di Shakespeare e a Che cosa sono le nuvole? di Pasolini. Era uno dei miei primi spettacoli e questa domanda mi ha accompagnato in ogni mio lavoro, come un piccolo segreto che questa bambina ha voluto consegnarmi.

Chi è quella figura che abita la scena, quando sei tu a guardarla?
Un attore, un poeta, un compagno, tutto declinato ovviamente anche al femminile.


Anna Amadori
         

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