Che cosa è veramente importante, oggi, quando parliamo di attori?
Non è facile isolare delle questioni senza cadere nelle trappole di un linguaggio spesso usurato, o che finisce per restringere un campo che vediamo estremamente aperto. Per ora vogliamo sostare attorno a due punti piccoli e sostanziali: attore è chi agisce sulla scena, luogo socialmente riconosciuto; attore è chi viene guardato da persone convenute nello stesso luogo e con lo stesso preciso fine.
Cosa sei tu, mentre abiti la scena, luogo dell'azione e della visione?
Cosa vedi, mentre sei in scena?
Quanto e come ti senti (o non ti senti) dentro ciò che viene definito “rappresentazione”?
E ancora: cosa vedi mentre guardi il lavoro degli attori? Come guardi il loro lavoro?
Chi è quella figura che abita la scena, quando sei tu a guardarla?
Bologna, luglio 2011
Gentilissimi,
ringrazio dell’occasione e rispondo scrivendo senza troppo badare alla successione dei pensieri che mi diventano parole. Perdonate stile e forma, sicuramente inadeguati, e accettate il tentativo di mettere per iscritto quanto invece so di non conoscere davvero.
Un qualsiasi discorso sull’attore deve includere a parer mio quanto completa e si completa nel teatro: lo spettatore.
Attore e spettatore sono figure inscindibili. Interlocutori di una relazione senza la quale “il teatro non sarebbe”.
Non si può essere “attori” senza la risposta alla proposta. Lo spettacolo non si rappresenta, si propone.
Ad ogni attore corrisponde una platea. La parola “corrisponde” ha un significato in italiano che trovo consolante e preciso.
Le accezioni possibili e le possibili declinazioni di questa relazione costituiscono l’indefinibilità di quanto è così straordinariamente soggettivo da poter essere misteriosamente condiviso.
La disposizione generale degli attori e quella della platea, nel senso di disponibilità, è la risposta continua all’appuntamento teatro.
Il teatro è un appuntamento, non il luogo o il tempo di un’esibizione.
Non esiste la bravura, esiste la capacità.
Voglio estendere un concetto prezioso che ci viene da Leo de Berardinis quando parlava dell’attore dicendo che non è colui che agisce la scena ma colui che “reagisce”.
Voglio estendere questo concetto alla platea, allo spettacolo che viene proposto, ripeto, non rappresentato. Gli spettatori reagiscono non a quanto avviene sul palcoscenico ma a quanto viene dal palco, quanto arriva ai singoli che sono un coro.
Il teatro, quando succede, succede non sul palcoscenico ma nello spazio di ritorno tra platea e palco.
In quello spazio è il teatro, solo lì.
L’attore è un’occasione per l’occasione teatro.
Gli attori devono essere sensibilità, devono essere verità, devono essere essere.
Devono poter perdere.
L’ascolto è la prima condizione. L’ascolto continuo, incessante, inesorabile.
La voce non è solo il suono del corpo e delle parole, è il mistero di ogni attore che si svela insieme al corpo intorno.
In scena, ogni attore ha un corpo intorno, in movimento, guidato da quello che Perla Peragallo definiva “sentire scenico”.
La relazione principale di ogni attore è con la sua propria estensione.
Con la coscienza del proprio stare fino al confine che ogni attore deve saper riconoscere e provare, sera dopo sera, a spostare un po’ più in là.
L’attore ha la responsabilità della propria proposta artistica.
Il teatro non è uno spazio sociale, ma un vuoto dentro il quale potersi incontrare.
In scena, io sono in continuo movimento, sono una tensione, sono rivolto.
Gli attori vanno sul palco per trovarsi di fronte al buio.
Il buio davanti ad ogni attore è per ogni attore diverso.
Ogni sera è un buio diverso. Ogni attore ha un buio diverso davanti a sé.
L’attore è un cieco con l’illusione della luce. E’ un ipercorpo senza somiglianza. L’attore è un riflesso.
Roberto Latini
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