Questo lavoro di Oriza Hirata è uno dei più rappresentativi della sua idea di teatro colloquiale. Sovrapposizioni di discorsi, frasi interrotte, silenzi e pause che dicono più delle parole stesse, costruiscono una partitura dove il senso nasce sì da ciò che si dice, ma non necessariamente dal suo significato. Lo spettacolo ha debuttato in Giappone nel 1995; a Santarcangelo è stato presentato l’8 e il 9 luglio 2011.
Quando è iniziato l’andirivieni nella sala non si sa. Non sappiamo nemmeno se, dopo che le luci si sono spente, quel procedere di passi nel museo di Tokyo sia finito davvero. Il tempo del racconto è una linea senza termini, e lo spazio che abbiamo di fronte è una scatola che ne cattura un segmento. Uno dopo l’altro, i personaggi di Tokyo Notes prendono posto nel bookshop, ognuno con la sua guida illustrata alla mostra di Vermeer o con un bicchiere di caffè tra le mani. Qualcuno sembra sia venuto da solo, in realtà si nasconde in quell’atrio per riposare dalla compagnia invadente di un’amica; altri arrivano insieme, e si scattano reciprocamente rapide fotografie. Alcuni visitano la mostra, e sanno i colori dei quadri e i nomi dei soggetti, altri la attraversano senza vederla, e ascoltano muti il racconto di chi hanno accompagnato. Nell’arco di quasi due ore di spettacolo, le frasi spezzate compongono il nocciolo di più racconti. I dialoghi sono il vero luogo dell’accadimento, e nelle parole dette dai numerosi attori di Oriza Hirata precipitano vite intere, traumi familiari a cui chi ascolta non sa come rispondere. Non c’è conforto, non c’è accoglienza, non c’è compassione. Ogni attore è un personaggio verticale, sottile e inafferrabile. La comunicazione tra loro esiste nella superficie del racconto, e si compone per tutta la durata dello spettacolo nella mente di chi guarda, che ricompone pezzo per pezzo il mosaico affrescato di fronte a sé. La profondità di Tokyo Notes è nella cornice della rappresentazione, un quadro spaziale animato con ritmo formicolante da esempi di semplice umanità, illuminati per il tempo che è necessario allo spettacolo, e nella scelta di parole pronunciate nel terrore dello spreco, a comporre frasi con il peso specifico di un’arma che ferisce o di un muro che respinge. Chi sta dentro è lo spettatore, attorno al quale vorticano vite e sguardi, sorrisi e strette di mano, saluti di convenienza e imbarazzi che investono all’improvviso tutta l’aria della scena. Hirata compie un lavoro sulle emozioni che sfugge ai ricatti, e chi guarda è coinvolto senza morbosità, ma si ritrova con incanto dentro un’opera registica che contempla sempre un nuovo ingresso, l’ennesima intrusione, l’ennesimo personaggio che costruisce, con quegli attori, una nuova storia intima, personale, singolare e irripetibile.
Credits:
Scritto e diretto da Oriza Hirata
Con Kenji Yamauchi, Miyuki Moriuchi, Hiroko Matsuda, Koji Ogawara, Mizuho Nojima,
Mami Goto, Masayuki Yamamoto, Kumi Hyodo, Minako Inoue, Natsuko Hori, Tadashi
Otake, Hiroshi Otsuka, Satoshi Kobayashi, Makiko Murata, Kenichi Akiyama, Mizuho
Tamura, Tatsuya Kawamura, Chikako Suzuki, Yuri Ogino, Umi Nagano
Scenografia Itaru Sugiyama
Luci Tamotsu Iwaki
Sottotitoli Aya Nishimoto
Direzione tecnica Aiko Harima, Takao Nakanishi
Produzione Yoko Nishiyama con il supporto di Agency for Cultural Affairs
In collaborazione con Napoli Teatro Festival Italia
Traduzione del testo Chiara Botta
Interprete Maria Tiziana Bacco