Una scrivania. Un gatto finto. Un quadro scadente. Un sintetizzatore. La voce di plastilina di Ivo Dimchev anticipa la sua figura avvertendo: "Durante questa performance il mio corpo perderà energia, voi perderete soldi, tutti perderemo tempo, qualcuno perderà sangue. Godetevi lo spreco" ed eccolo entrare sfilando lungo il perimetro a chiudere senza sigillare lo spazio del tableau vivant. E lo spreco di una vita può iniziare attraverso un denudamento fisico ed emotivo, in un caleidoscopio di caratteri che entrano in cortocircuito masturbatorio con gli oggetti di scena.
Se “l’equilibrio è desiderio da vecchi” la brama di Dimchev sta tutta nella maschera di carne e sudore offerta in pasto allo sguardo pubblico, in un tragicomico esibizionismo tra la confessional poetry e il one man show di una drag queen.
“Il mio cibo è buono perché non lo vuoi mangiare? Se non mangi muori!” L’insopportabile abbandono dell’altro si fa oggettuale incarnandosi nella ceramica che dell’animale conserva l’immagine zoomorfa, ma non-viva, terribilmente fragile.
Il discorso amoroso si fa feroce, e il falsetto sfocia in grido colmo di solitudine.
Non si ride e non si piange, sospesi su un bilico di vulnerabilità nervosa tra distensioni e salite. Dimchev alla fine si avvicina col volto grondante di sangue e si congeda inchinandosi come una consumata etoile dopo averci offerto un dono amaro e imbarazzante. I nostri occhi non riescono a smettere di guardare ciò che continua a mostrare i propri traumi con tanta forza.