Se una serie infinita di suicidi, tentati da una ragazza tramite pistole giocattolo, finti zaini bomba, scosse elettriche senza elettricità è destinata a fallire miseramente; se ci viene raccontata una strage di omicidi in cui il criminale è di fronte a noi nello spazio, dopo aver preso in due minuti un aereo andata e ritorno per New York; se poco prima quello stesso criminale diceva di essere Gesù, allora la domanda di Homo Ridens più che “perchè ridiamo?” sembra essere “in cosa crediamo?”, mediata da una riflessione sui modi in cui la risata ci traghetta verso spudorate finzioni.
Lo spettacolo indaga l’attitudine umana alla risata misurandone i limiti e la complessità con il tipico piglio socio-antropologico da sempre cifra di Teatro Sotterraneo. La risata, strumento prettamente umano di libertà e di consenso, ma che si esprime in modalità bestiali, attraverso la rinuncia al respiro e il digrignare dei denti, viene qui indagata nei suoi meccanismi più o meno profondi attraverso la formula, non nuova alla compagnia, del test sul pubblico.
Nel primo test una serie di “demotivational” interrogano il pubblico sul sarcasmo verso l’olocausto, l’attacco terroristico dell’undici settembre e la carestia nel terzo mondo. Si può ridere quando “non c’è niente da ridere?” Assistiamo alla morte in scena di un malato terminale e infine a un pestaggio violento seguito da una sparatoria.
Episodi che nella realtà desterebbero preoccupazione qui non ci turbano minimamente, ma non trovano neanche distensione nella risata dissacrante. Si resta sospesi, ci si incunea in un vicolo cieco. Si finge sfacciatamente la finzione, tant’è che una spettatrice scelta tra il pubblico come possibile vittima esclama:«So che non lo farete!», e si sente rispondere: «No, ovviamente non lo faremo.» L’illusione di indagine scientifica sulla risata si scioglie davanti allo spettatore, che scopre la beffa dell’intero spettacolo.
Teatro Sotterraneo come sempre ci sfida a trovare una chiave, solo che questa volta le porte da aprire sembrano troppe. Il ridere è un’arma di liberazione, un’inversione che ribalta i racconti e le visioni del potere? Il ridere è un modo di nascondersi nelle maggioranze, attraverso l’irrisione dell’altro?
Il momento di maggiore “crisi” non sta nella ricerca delle risposte, bensì nell’istante di sbandamento del « è tutto finto!» gridato dalla ragazza suicida, che dichiara “a parole” la finzione, finge di uscire gridando, mostra di ribellarsi. In quei momenti però crediamo a lei, vorremmo intervenire, sostenere il suo grido per protestare a nostra volta, perché quello che vediamo è tutto finto, troppo finto. Solo a tratti questo Homo Ridens riesce a farci ridere, solo a tratti sceglie di farci riflettere. La restante parte del tempo è pervasa dai segni di quel grido, dalle sue sperate risonanze.