APPUNTI/ Masque Teatro
"Tutte le identità non sono che simulate, prodotte come un effetto ottico, attraverso un gioco più profondo che è quello della differenza e della ripetizione"
G. Deleuze, 1968
JUST INTONATION / La macchina di Kafka atto secondo.
La nebbia densa si dirada nel punto di fuga dello sguardo. Una luce fioca scopre un moncone di carne senza capo nè arti. Respira. Si muove, ma informe. Lo sguardo si forza di ricostruire le anatomie sporche di pece. Una bestia, forse. Gli occhi insistono. La massa vivente è sdraiata su un'altra carcassa, ma meccanica. Una tavola armonica che ricorda un pianoforte sventrato. Dalla crisalide di carne gemmano le protesi degli arti. A destra della scena si palesa all'orecchio un altro oggetto che l'occhio aveva trascurato: un piano disklavier i cui tasti si inseguono in scale tonali come posseduti. Il vivente si fa lentamente figura, nuda e glabra col petto che par di donna. Si aggira a carponi, primigenia, lontano dall'eretto e dal sapiente. Come un animale. E come un animale attacca le corde graffiandole e battendole con le mani prima e poi col volto fino ad ucciderne il suono. Sale sulla tavola inclinata e in un istante infila la testa in un pertugio nascosto, trascinandosi dietro il corpo, che fa perno verticale a un compasso di gambe che attacca a muoversi all'unisono coi tasti del piano. La figura si fa strumento e lo strumento automa. Lei è la macchina. Gli arti divengono "corpo sonoro", lancette precise che pedalano in tandem con le frequenze sonore, respingendosi e attraendosi in dualità binaria su un crinale millimetrico. Riscrivendosi l'un l'altro, autogenerandosi dalla notte dei tempi, fino alla fine dei giorni.
SPECIAL COILS / Lightning Poem on Nikola Tesla
Due grandi bobine di Tesla balenano a giorno lo spazio scenico. La visione trasfigura nella mente i congegni industriali in belve ferine. Due draghi di pura idea che catturano l'energia di natura nel cuore perfetto di macchina. Una figura esile e oblunga appare dai margini, sorta di "prometeo del fulmine" che attacca e dirotta il lampo. Lui è il fulmine. Buio. Lo sguardo indugia sulla bragia incadescente delle macchine spente. Una voce ci ricorda che lo "spettacolo" è finito e dobbiamo uscire.
Jennifer Malvezzi