Intersection Intimacy and Spectacle, progetto transdisciplinare cresciuto in seno alla Quadriennale di Praga, approda a Santarcangelo 41 con un riallestimento site-specific dei lavori di Harun Farocki (Germania), Hans Rosenstrom (Finlandia), Ulla Von Brandenburg (Germania/Francia), Monika Pormale (Lettonia) e Dace Dzerina (Lettonia).
Le opere di questi artisti mettono in crisi la sclerosi della rappresentazione teatrale tradizionale per farla diventare una forma di esperienza, uno spazio di rappresentazione interiore. In Mikado, ad esempio, installazione sonora per uno spettatore firmata da Rosenström e ispirata al capolavoro Sussurri e grida di Bergman, lo spettatore è invitato a entrare in una stanza disadorna, ad abitarla in penombra e a indossare delle cuffie posizionate davanti a uno specchio. Terminate le istruzioni da seguire egli rimane intrappolato nel proprio silenzio e nell’imbarazzante mirino di se stesso duplicato dallo specchio. È la tattilità della presenza acustica che sembra assorbire la stanza e riverberare nell’udito a oltrepassare la soglia epidermica, sciogliere qualsiasi remora e a farsi gabbia per lo spettatore. L’invasione operata dal suono funziona come un compasso, da un lato incide le viscere dall’altro disegna una geografia emozionale, una sorta di zona sismica da cui si propagano scosse emotive di varia intensità, delimitando il vero luogo performativo di Mikado.
Riadattato per un’aula della scuola elementare Pascucci a Santarcangelo è in proiezione Singspiel, 2009, film in bianco e nero della Von Branderburg ambientato all’interno della suggestiva Villa Savoye di Le Corbusier. Il film girato in piano sequenza costringe lo sguardo a non rimanere immobile ma a dilatarsi, a modularsi gradualmente camminando in sincrono con il proprio pensiero. L’occhio dello spettatore diventa un esploratore-autore di una personale ipotesi di visione che si forma per percezioni contrastanti. Alla sinuosità della villa si contrappone infatti la freddezza e l’apatia della famiglia che la abita, che conferisce all’opera un sapore stantio dal retrogusto amaro.
In senso diametralmente opposto si colloca il lavoro di Farocki, Immersion, videoinstallazione di stampo documentaristico che mostra il funzionamento di un software di animazione per la creazione di virtual realities usate in campo medico per la cura psichica di soldati reduci di guerra. Nello specifico ciò che lo spettatore vede è la simulazione di una seduta di recupero in cui è uno psicoterapeuta a fingere di essere un soldato e a rivivere virtualmente, anche a livello emotivo, la morte di un suo compagno. L’effetto per lo spettatore è di spaesamento misto a orrore e disgusto, è il suo senso del pudore a essere colpito e a stimolare conati di vomito. L’atrocità dell’esperimento sta nel non riuscire a discernere la realtà dalla finzione, la realtà dalla sua (ri)costruzione: entrambe funzionano come due lenti sovrapposte e inscindibili, la sensazione è di totale smarrimento, di perdita delle consuete coordinate spaziali.