La presenza di Mariangela Gualtieri a Santarcangelo 41 è una “chiamata” agli artisti, agli spettatori, ai cittadini. Dalla torre civica, tutte le sere alle 20.40, il pubblico del Festival alza il viso in aria e si mette in ascolto della parola poetica. La prima puntata di Radio Gun Gun 2011 si è aperta con la voce di Mariangela, che ci ha raccontato il suo Bello mondo.
Come sei salita lassù? Qual è stato il percorso che ti ha portato a recitare i tuoi versi in cima alla torre?
Posso raccontarvi qualcosa, ma non tutto. L’emozione è stata così forte che la lingua corrente non può dirla senza banalizzarla. Dovrei raccontarvelo in versi, ma non sono ancora capace di improvvisare: speriamo che arrivino quando sarà tempo.
L’idea è nata da una conversazione con Ermanna, eravamo sedute a un tavolino di un bar qui a Santarcangelo. Ermanna mi ha chiesto di venir qui a recitare dei versi. Ma da dove? Lei ha avuto l’idea della torre. Io, pensando alla torre, ho immaginato che da lassù sarebbe stato bello dire un “grazie”, fare un gesto così raro. Credo che il bello di questa piccola cosa sia proprio l’unione di questi due elementi: la torre e il “grazie”, l’idea di lanciare questo semplice “grazie” dal punto più alto della città. Salire lassù per la prima volta è stata un’avventura: c’è una scaletta piccolissima e al centro resta una specie di buco che un tempo conteneva le corde della campana. Questa scaletta diventa sempre più ripida, finché gli ultimi due piani sono gradini di ferro infilati al muro e bisogna arrampicarsi. Quando si è lassù si riconquista la natura. È molto strano, anche tornandoci ogni sera. Si è dentro una natura fatta solo d’aria, c’è sempre vento, a qualunque ora, si vede il sole immediatamente lì, la campagna intorno alla città, poi si vedono il paese, il treno, il mare. Non posso dire che cos’è. La prima volta è arrivato un grosso groppo alla gola che mi ha ammutolita, come ci ammutoliscono le cose potenti e i fenomeni naturali. La natura è in fondo la bellezza, la bellezza è la natura. Nella vita quotidiana siamo molto orizzontali, gli scambi fra le persone vanno orizzontalmente, c’è un accanimento sull’umano che è molto bello. Ma in questo caso un elemento verticale, la torre, ti chiama ad alzare lo sguardo verso qualcosa che non oso nominare, a cui non so pensare, ma che sento come mistero della vita, del fatto di essere qui, di crescere e poi di morire.
La tua parola poetica è una parola “soffiata,” che deve essere pronunciata dentro a una stanza, forse a bassa voce. Cosa accade alla parola quando passa da questa intimità ad essere “lanciata” nel vento dalla torre?
Pensavo che avrei recitato come ho fatto sempre, muovendomi in quel piccolo registro, in quello spettro di sottigliezza. Spontaneamente invece mi è venuto fuori questo dire più forte, più freddo, più secco.
Dipende anche dai versi. Quando ho pensato al “grazie” ho pensato a una poesia di Borges, molto bella, molto lunga, che comincia così: «Ringraziare desidero il divino / labirinto delle cause e degli effetti / per la diversità delle creature / che compongono questo universo singolare». È una poesia molto bella, ma poco orale, molto colta; ho preso delle parti, quelle più semplici, a cui ho aggiunto dei versi miei, umilmente e brutalmente. Poi ho trasformato in “grazie” i versi di altri poeti. Ci sono versi di Silvia Avallone, Nelly Sachs, Milo De Angelis, Giovanna Sicari e di tanti altri poeti e filosofi che amo. Penso che questo sia solo un inizio e che vorrò fino all’ultimo giorno della mia vita continuare questa poesia.
Come il festival crea un’apertura verticale che va dalla monade al coro, la tua voce porta dentro di sé un coro di altre voci che passa attraverso la tua e si dirama per le strade di Santarcangelo. A chi ti senti di parlare quando sei lassù, qual è la direzione che la tua voce prende?
È una domanda molto difficile. Forse questo “chi” non è mai stato così largo come da quella torre. Di questo sono molto grata a Ermanna, perché ci ha messo una passione, una devozione e anche un’allegria che mi hanno commossa.