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La cultura nell'economia italiana: il 13 gennaio un convegno a Bologna


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Dalla Cultura alla Scuola: ''Cosa abbiamo in Comune'', il 7 settembre a Bologna


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INTERVISTE E INCONTRI > Antonia Baehr


"Ridere è una pièce sul ridere come atto in se stesso finito.”
Nel 2007 Antonia Baehr ha iniziato a lavorare a Ridere, chiedendo in regalo per il suo compleanno una "partitura di risata" ad amici e conoscenti. La partitura doveva essere una composizione per la sola artista incentrata sull'atto di ridere, non sul desiderio di risultare divertente. Sul palco l’artista esplora questa espressione come un'entità sovrana, separandola dal bagaglio causale dato dallo scherzo o dalla gioia e guardando “la cosa in sé”: il suono e la forma, la musica, la coreografia, il ritmo e il gesto della risata. 
“Ad Antonia Baehr piace ridere e spesso viene vista ridere”. 
Questa frase che presenta Laugh/Ridere, il lavoro della performer in programma a Santarcangelo 41, descrive anche la persona cordiale che abbiamo incontrato per un’intervista breve, ma piena di grazia ed allegria, qualità non del tutto restituibili nella trascrizione.  


For Faces è un lavoro sull’atto del guardare, Laugh/Ridere è sull’atto del ridere. Dai suoi lavori che abbiamo visto in Italia sembra che il suo interesse artistico coincida con un interesse antropologico per le azioni umane...

Solo in parte, ciò che mi interessa è l’interazione tra me e chi mi sta guardando e lo spazio del teatro è uno straordinario laboratorio di indagine. Un’interazione che quasi sempre non cerco attraverso la parola. 

A proposito di Ridere, quando esegue la partitura che William Wheller ha scritto per lei, la sua risata sembra un falsetto barocco, mentre nella partitura di Valerie Castan sembra che lei stia usando una tecnica respiratoria. Che tipo di preparazione tecnica c’è dietro l’esecuzione delle partiture?
  
Per preparami, nella primissima fase del progetto, ho cercato di ottenere nuovi tipi di risata utili per eseguire al meglio le partiture, ma soprattutto avevo bisogno di ridere a comando, la cosa più difficile. Per questo la partitura di mia madre, dove mi viene chiesto di ridere esplicitamente a comando, ha messo in crisi l’esito dell’intero lavoro. Bisogna riuscire ad unire le azioni di due persone nello stesso corpo: quella che “ride” e quella che dice “ridi ora!”. Adesso, prima dello show, mi limito a cantare e respirare. Ogni tanto faccio qualche esercizio di repirazione diaframmatica. Per il corpo faccio yoga, ma è una sorta di pratica quotidiana. Sul palco, la cosa più importante per la buona riuscita della risata è rimanere rilassati. Solo alcune risate nervose richiedono una certa tensione corporea, ma la maggioranza delle risate che eseguo sono “rilassate”, pratica che ha richiesto un lungo lavoro di preparazione iniziale.

Nella partitura di Henry Wilt fa una sorta di coreografia simile ai movimenti del solfeggio. Mentre eseguiva questa partitura ho avuto l’impressione che il pubblico di Santarcangelo ridesse “a tempo” con i gesti delle sue mani. Il “potere contagioso della risata” è anche formale, in senso di imitativo e ripetitivo?

Qui a Santarcangelo è stato fantastico, un bellissimo dialogo. Non mi era mai successo. Solitamente in questo punto dello spettacolo le persone stanno in silenzio, ma è anche vero che in altre parti della pièce scoppiano a ridere. Ma non è sempre così: a Londra le persone ridevano solamente quando io non stavo ridendo, come se aspettassero che io avessi finito. Sembravano preparate a trattenersi. Per questo non credo ci sia qualcosa di imitativo o che si scateni una reazione fisiologica contagiosa. Mi limiterei a sostenere che è impossibile riuscire a rimanere sempre seri davanti a qualcuno che ride. 

Lei usa alcuni alter ego, penso ad esempio a Werner Hirsh. Quali sono i limiti e la libertà nello sdoppiarsi in così tanti “personaggi”?

Io e Werner Hirsh abbiamo la stessa base biologica, ma abbiamo un look diverso, lui è un uomo, e fa l’attore. Il prossimo film che interpreta Hirsh uscirà a settembre. I miei alter ego sono diverse persone, non amo chiamarli personaggi. In questo momento anche Antonia Baehr potrebbe essere un “personaggio”, ma non la chiamo così nel mio passaporto, lei è quella che si occupa delle coreografie. 

Lei hai un’estetica molto raffinata. Che relazione c’è tra l’estetica azzimata della sua "persona" e la performance stessa?

Mi piacciono i dandy e mi piace essere elegante. Di solito mi vesto sempre come Antonia Baher veste sul palco. Nello spettacolo questo tipo di abbigliamento serve anche per dare un tono serioso a colui che ride.

Ho letto che si è formata con Vallie Export, conosciuta ai più come artista femminista. La sua estetica trascende i generi e mi ha fatto pensare a quello che dice Donna Haraway in Manifesto Cyborg sul superamento della divisione in dualismi universali. Credo che il suo lavoro rappresenti bene questo tipo di superamento, nell’abbigliamento, nella gestualità…

La neutralità è un cosa molto complicata da ottenere. La neutralità significa azzeramento. Che cos’è lo zero? Esiste uno zero? E che cos’è normale e cosa non è normale? Si suppone che L’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci sia una figura neutrale, ma in definitiva è un maschio bianco. Questa è la dimostrazione della confusione tra normalità e neutralità. Le categorie di genere esistono è per questo che spesso in teatro si lavora sull’appropriazione e sulla caratterizzazione delle stesse.

Ciò che intendevo dire è che il suo spettacolo è contemporaneo a 360°. È uno spettacolo sulla risata, ma non è una commedia. Il pubblico è chiamato in causa, ma non attraverso giochetti facili. Non è pensato per un pubblico sessualmente e socialmente definito, ma per tutti. Inoltre, lei non pretende una reazione univoca da chi guarda...

Si è vero, il pubblico non viene manipolato e indotto a pensare o a ridere in un punto preciso dello spettacolo. Mi interessa prima di tutto essere generosa con chi guarda.

Jennifer Malvezzi


         

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