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NEWS

26/04/2018
Osservatorio sul festival Ipercorpo: aperte le iscrizioni


20/03/2018
Direction Under 30: aperto il bando per candidarsi


20/03/2018
Planetarium ai festival di teatro-ragazzi


19/03/2018
Teatro e giovani generazioni: un incontro-dibattito a Castelfiorentino


10/11/2017
Performing Gender: gran finale a Bologna


08/11/2017
Master in Imprenditoria dello spettacolo 17-18, Università di Bologna


07/11/2017
Con occhi nudi: un itinerario al femminile


05/11/2017
Lettera 22. Premio giornalistico nazionale di critica teatrale under 36


04/09/2017
Cornice Aperta. Aperitivo con gli artisti del Festival Danza Urbana


19/05/2017
Maggio all'infanzia, dal 17 al 21 maggio a Bari


04/05/2017
Ivrea Cinquanta – Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967 – 2017. Genova, 5-7 maggio


29/03/2017
Un teatro in mezzo ai campi: 8 aprile con le Ariette


24/03/2017
''La formazione del nuovo pubblico'': un convegno sabato 25 marzo ad Albenga


28/02/2017
“Comizi d’amore”, open call per registi/drammaturghi e attori under 35 di Kepler-452


11/01/2017
La cultura nell'economia italiana: il 13 gennaio un convegno a Bologna


05/12/2016
Impertinente Festival: il teatro di figura a Parma, dal 7 all'11 dicembre


07/10/2016
Master in imprenditoria dello spettacolo, Bologna, anno accademico 2016-2017


23/09/2016
Infanzia e città a Pistoia, dal 24 settembre al 5 novembre 2016


03/09/2016
Dalla Cultura alla Scuola: ''Cosa abbiamo in Comune'', il 7 settembre a Bologna


31/08/2016
Electro Camp – International Platform for New Sounds and Dance, a Forte Marghera dal 7 all'11 settembre


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EDITORIALI > Crisi del teatro in crisi

Nell’estate del 2008 regnava l’incertezza sul futuro del festival di Santarcangelo. La cosa era sotto i riflettori perché quell’anno la manifestazione era acefala e tutti si attendevano una soluzione. Oggi, a tre anni di distanza, è di nuovo l’incertezza il tema di fondo che accompagna il futuro del festival. A prescindere dai motivi specifici che hanno portato a questo, la situazione odierna credo sia emblematica dell’Italia di questi anni. La crisi di cui tanto si parla in questi mesi è di due ordini, lo sappiamo bene: economico e culturale – è per questo che proprio il mondo dell’arte e della cultura ne risente in modo macroscopico ed esemplare. è ovvio che ci siano differenze tra le problematiche di aree geografiche più ricche e attente al sostegno dell’arte e le carenze di quelle più povere o peggio amministrate; eppure esistono degli aspetti ricorrenti.
L’attendismo è uno di questi, che ne nasconde uno più grande e spinoso: la difficoltà, quando non l’impossibilità, di progettare. Più che sprofondando, l’Italia si sta incagliando sempre di più a causa di un’evidente incapacità di immaginare il futuro. Perché mancano persone competenti, o nuove generazioni intelligenti da formare? Tutt’altro. Il problema risiede in uno dei tratti storici del nostro paese, che è il paese della pacificazione forzata che genera conflitto. In Italia le politiche culturali si possono sintetizzare nel seguente modo: diamo una briciola a tutti quanti, la cui consistenza varia in base al peso politico e alla visibilità. Era inevitabile che, davanti a una crisi economica, questa “pacificazione” si trasformasse in esclusione. Soprattutto generazionale.
Il sistema teatrale italiano è il risultato dell’accomodarsi di diverse generazioni di artisti in circuiti anch’essi diversi e non comunicanti tra loro. Stabili, stabili di innovazione, festival, eccetera. Ovviamente si tratta di una divisione grossolana, perché esistono artisti in grado di muoversi da un settore all’altro; ma nel suo schematismo è in grado di leggere uno stato delle cose, che si traduce nella grande difficoltà di accesso ai luoghi e alle risorse che queste ultime generazioni stanno incontrando.
Partendo da questi presupposti è ovvio che, in una società dove la creatività ha raggiunto una dimensione di massa, il teatro – che è l’arte antieconomica per eccellenza e che per esistere deve essere in qualche modo foraggiata – entri in crisi. Questa dimensione di precarietà diffusa infetta, inevitabilmente, anche la riflessione degli artisti e le loro estetiche, soprattutto di quegli artisti che, per nascita, si ritrovano dentro questa precarietà. Le compagnie più giovani, ad esempio, hanno risposto allo strozzamento del mercato e dei circuiti teatrali giocando la carta della riconoscibilità, in qualche caso addirittura della “brandizzazione”, marcando una forte inversione di rotta rispetto all’imperativo – anche troppo debordante – della ricerca a tutti i costi che ha caratterizzato i decenni precedenti. I gruppi con più anni di esperienza, che si sono affacciati a questo mondo quando ancora la crisi non c’era e hanno vissuto biograficamente un progressivo smottamento del mondo del teatro e dell’arte, denunciano in qualche modo anche loro una difficoltà. La si può leggere in maniera esplicita anche attraverso gli spettacoli, che mettono in scena lo sprofondare del sistema Italia (come il Titanic di Roberto Latini), o tornano a interrogare con insistenza – con esiti e prospettive anche molto diverse – i sistemi ideologici del pensiero forte (come gli ultimi progetti dei Motus o la scelta degli Artefatti di portare in scena Brecht).
Niente di nuovo sotto il sole, tutto sommato, perché il teatro ha sempre parlato delle criticità che attraversano la società. Eppure, mai come oggi è forte l’impressione che sia il teatro stesso ad esserne pesantemente attraversato a sua volta.
La crisi – e chi la gestisce – ci comunica che è finito il tempo della ricreazione. Che non ci sono più risorse per mantenere il mondo dell’arte allargando il cerchio a ogni nuova ondata di artisti. E tutto sommato si può essere perfino d’accordo, ma a un patto: occorre tornare a distinguere tra arte e comunicazione, tra teatro e spettacolo (alla maniera di Claudio Morganti), e dire in modo chiaro che il compito delle risorse pubbliche è sostenere il primo e non ottenere consenso attraverso il secondo. Se la crisi può essere almeno in parte rovesciata in un’opportunità, ciò è vero soprattutto sui modelli di gestione. Se esistesse un’effettiva mobilità delle compagnie attraverso i diversi circuiti; se si ripensassero le gestioni faraoniche di alcune strutture pubbliche; se le generazioni si parlassero e contaminassero anche nella gestione delle risorse; se si formassero nuove figure di operatori in grado di ripensare i modelli; forse un piccolo spostamento potrebbe avere luogo.

Nota: C’è un terzo aspetto della crisi, che non va sottovalutato, quello del linguaggio. Prendiamo come cavia questo stesso articolo: è facile immaginare che alla sua analisi sullo stato fatiscente del sistema culturale italiano potrebbero aderire un vasto numero di persone, compreso chi si è trovato in ruoli gestionali e ha tranquillamente perpetuato l’esistente anziché metterlo in discussione. Questo avviene perché nel nostro paese contestare lo stato delle cose a parole per poi conformarsi nei fatti è una pratica diffusa, praticamente endemica, da cui nessuno può dirsi totalmente immune. È vero, confrontarsi con una realtà così compromessa significa necessariamente fare a propria volta compromessi piccoli o grandi. Ma quello che a volte ci sfugge è che, nonostante la messa in crisi del lessico politico del Novecento, tra presa di coscienza e presa del potere può esistere uno scarto profondo.
Nell’estate del 2008 regnava l’incertezza sul futuro del festival di Santarcangelo. La cosa era sotto i riflettori perché quell’anno la manifestazione era acefala e tutti si attendevano una soluzione. Oggi, a tre anni di distanza, è di nuovo l’incertezza il tema di fondo che accompagna il futuro del festival. A prescindere dai motivi specifici che hanno portato a questo, la situazione odierna credo sia emblematica dell’Italia di questi anni. La crisi di cui tanto si parla in questi mesi è di due ordini, lo sappiamo bene: economico e culturale – è per questo che proprio il mondo dell’arte e della cultura ne risente in modo macroscopico ed esemplare. è ovvio che ci siano differenze tra le problematiche di aree geografiche più ricche e attente al sostegno dell’arte e le carenze di quelle più povere o peggio amministrate; eppure esistono degli aspetti ricorrenti.
L’attendismo è uno di questi, che ne nasconde uno più grande e spinoso: la difficoltà, quando non l’impossibilità, di progettare. Più che sprofondando, l’Italia si sta incagliando sempre di più a causa di un’evidente incapacità di immaginare il futuro. Perché mancano persone competenti, o nuove generazioni intelligenti da formare? Tutt’altro. Il problema risiede in uno dei tratti storici del nostro paese, che è il paese della pacificazione forzata che genera conflitto. In Italia le politiche culturali si possono sintetizzare nel seguente modo: diamo una briciola a tutti quanti, la cui consistenza varia in base al peso politico e alla visibilità. Era inevitabile che, davanti a una crisi economica, questa “pacificazione” si trasformasse in esclusione. Soprattutto generazionale.
Il sistema teatrale italiano è il risultato dell’accomodarsi di diverse generazioni di artisti in circuiti anch’essi diversi e non comunicanti tra loro. Stabili, stabili di innovazione, festival, eccetera. Ovviamente si tratta di una divisione grossolana, perché esistono artisti in grado di muoversi da un settore all’altro; ma nel suo schematismo è in grado di leggere uno stato delle cose, che si traduce nella grande difficoltà di accesso ai luoghi e alle risorse che queste ultime generazioni stanno incontrando.
Partendo da questi presupposti è ovvio che, in una società dove la creatività ha raggiunto una dimensione di massa, il teatro – che è l’arte antieconomica per eccellenza e che per esistere deve essere in qualche modo foraggiata – entri in crisi. Questa dimensione di precarietà diffusa infetta, inevitabilmente, anche la riflessione degli artisti e le loro estetiche, soprattutto di quegli artisti che, per nascita, si ritrovano dentro questa precarietà. Le compagnie più giovani, ad esempio, hanno risposto allo strozzamento del mercato e dei circuiti teatrali giocando la carta della riconoscibilità, in qualche caso addirittura della “brandizzazione”, marcando una forte inversione di rotta rispetto all’imperativo – anche troppo debordante – della ricerca a tutti i costi che ha caratterizzato i decenni precedenti. I gruppi con più anni di esperienza, che si sono affacciati a questo mondo quando ancora la crisi non c’era e hanno vissuto biograficamente un progressivo smottamento del mondo del teatro e dell’arte, denunciano in qualche modo anche loro una difficoltà. La si può leggere in maniera esplicita anche attraverso gli spettacoli, che mettono in scena lo sprofondare del sistema Italia (come il Titanic di Roberto Latini), o tornano a interrogare con insistenza – con esiti e prospettive anche molto diverse – i sistemi ideologici del pensiero forte (come gli ultimi progetti dei Motus o la scelta degli Artefatti di portare in scena Brecht).
Niente di nuovo sotto il sole, tutto sommato, perché il teatro ha sempre parlato delle criticità che attraversano la società. Eppure, mai come oggi è forte l’impressione che sia il teatro stesso ad esserne pesantemente attraversato a sua volta.
La crisi – e chi la gestisce – ci comunica che è finito il tempo della ricreazione. Che non ci sono più risorse per mantenere il mondo dell’arte allargando il cerchio a ogni nuova ondata di artisti. E tutto sommato si può essere perfino d’accordo, ma a un patto: occorre tornare a distinguere tra arte e comunicazione, tra teatro e spettacolo (alla maniera di Claudio Morganti), e dire in modo chiaro che il compito delle risorse pubbliche è sostenere il primo e non ottenere consenso attraverso il secondo. Se la crisi può essere almeno in parte rovesciata in un’opportunità, ciò è vero soprattutto sui modelli di gestione. Se esistesse un’effettiva mobilità delle compagnie attraverso i diversi circuiti; se si ripensassero le gestioni faraoniche di alcune strutture pubbliche; se le generazioni si parlassero e contaminassero anche nella gestione delle risorse; se si formassero nuove figure di operatori in grado di ripensare i modelli; forse un piccolo spostamento potrebbe avere luogo.

Nota: C’è un terzo aspetto della crisi, che non va sottovalutato, quello del linguaggio. Prendiamo come cavia questo stesso articolo: è facile immaginare che alla sua analisi sullo stato fatiscente del sistema culturale italiano potrebbero aderire un vasto numero di persone, compreso chi si è trovato in ruoli gestionali e ha tranquillamente perpetuato l’esistente anziché metterlo in discussione. Questo avviene perché nel nostro paese contestare lo stato delle cose a parole per poi conformarsi nei fatti è una pratica diffusa, praticamente endemica, da cui nessuno può dirsi totalmente immune. È vero, confrontarsi con una realtà così compromessa significa necessariamente fare a propria volta compromessi piccoli o grandi. Ma quello che a volte ci sfugge è che, nonostante la messa in crisi del lessico politico del Novecento, tra presa di coscienza e presa del potere può esistere uno scarto profondo.


di Graziano Graziani
       

FESTIVAL

marzo-maggio 2018
Planetarium
Osservatorio sul teatro ragazzi

14 - 22 ottobre 2017
Vie Festival 2017
Laboratorio di critica e giornalismo

giugno 2017
Futuri Maestri
Laboratorio Futuri giornalisti

28-31 ottobre 2016
Crisalide
Perché passi un po' di caos libero e ventoso

ottobre 2016
Vie Festival 2016
Arti sceniche internazionali e italiane

22 settembre - 2 ottobre 2016
Contemporanea Festival 2016
Le arti della scena

ottobre 2015
Vie Festival 2015
Arti sceniche internazionali e italiane

1-4 ottobre 2015
Crisalide
Non è successo niente, è ciò che stiamo diventando

25 settembre - 4 ottobre 2015
Contemporanea Festival 2015
Le arti della scena

Febbraio - aprile 2015
Nelle pieghe del Corpo
Virgilio Sieni, Bologna

ottobre 2014 - marzo 2015
Festival Focus Jelinek
Festival per città

9-25 ottobre 2014
Vie Festival 2014 Modena___Emilia
Arti sceniche internazionali

10 - 20 luglio 2014
Santarcangelo · 14
Festival internazionale del teatro in piazza

12 - 21 luglio 2013
Santarcangelo · 13
Festival Internazionale del Teatro in Piazza

aprile 2013
Pinocchio della non-scuola
Immagini a cura di Osservatorio Fotografico, note a margine su Pinocchio

5-13 ottobre 2012
Tempo Reale Festival
Ricerche musicali contemporanee

14 - 23 luglio 2012
SANTARCANGELO •12
Festival internazionale del teatro in piazza

Primavera 2012
Vie Scena Contemporanea Festival
Arti sceniche internazionali

Marzo 2012
BilBolbul 2012
fumetto, illustrazione, disegno

ottobre 2011
Vie Scena Contemporanea Festival
Teatro internazionale a Modena, Carpi, Vignola e limitrofi

Settembre 2011
Arca Puccini - Musica per combinazione
Rock indipendente italiano e internazionale