Se esiste un limite oltre il quale lo sguardo può aprirsi, uscire dai contorni per percorre uno spaesamento e uno sbandamento mai vitali quanto oggi, questo può stare in un'idea di solitudine. Ci sono meccanismi che invitano all'azione, fisicamente, spostando i limiti di un contratto: non si è più seduti in platea ma si partecipa “insieme”, come in due casi provenienti da Intersection, dove si può seguire una traccia di passi che guidano l'esecuzione di figure di tango (Touring dance teacher di Dace Džeriņa), oppure l'invito ad abbracciarsi in vetrina in Piazza Ganganelli (Everything is going to be alright N.5 di Monika Pormale). Qui si è soli a partire da un'indicazione di partenza, senza la quale non ci saremmo probabilmente mai mossi insieme: occorre operare una scelta, e verificare quanto questa possa divenire nostra, cioè di ognuno.
Seduti in platea la questione si stratifica, perché in un certo modo siamo sempre soli, quando guardiamo. Scorre una tensione, fra vicini di sedia, ma quanto accada nell'intimo di ognuno ha una natura che non può essere mai del tutto condivisa, almeno nell'istante dell'accadimento. Se ci siamo siamo da soli, con l'opera, in quel gorgo. Tokyo Notes di Hirata Oriza / Seinendan accade nel bookshop di un luogo pubblico che ospita l'azione privata dello sguardo, come descrive il museo Alan Bennet. Là si parla di realtà e di come rappresentarla, filtrandola con cornici bidimensionali, riproducendola con flash di fotocamere digitali. Là si parla e si parla e nessuno guarda. Chi è in scena discute del guardare senza farlo; chi è in platea guarda e non discute, ma riflette. Noi al loro posto: vedere o non vedere, questo è il problema, ed è tutto nostro.
The Plot is the revolution di Motus / Judith Malina parte da una prospettiva opposta: siamo tutti insieme, nel consesso di un dialogo pubblico, le domande che Silvia Calderoni pone a Judith Malina sulla sua storia, sui suoi spettacoli è come se fossero nostre, è come se fossero dette in nostra vece. Siamo di fronte a una dimostrazione, spesse volte, in cui le visioni raccontate di Malina divengono figure del movimento, della voce, dei gesti di Calderoni. Qui si osserva e si partecipa, assumendo una tensione, un desiderio che può essere solo comune oppure non può semplicemente darsi: si può stare tutti insieme sul pavimento del teatro disegnando pensieri con cento pennarelli neri, oppure si deve uscire dal teatro, soli.