La Polonia è uno dei paesi europei che nel corso del Novecento ha dato un contributo fondamentale al teatro contemporaneo. Basterebbero i nomi di Jerzy Grotowski, Tadeusz Kantor, Andrzej Wajda – i più importanti, i più celebrati – per capire la grande influenza che il teatro polacco ha avuto in Europa, e molto anche in Italia. La mostra Tutto il teatro in un manifesto. Polonia 1989-2009, prodotta dalla Fondazione Palazzo Ducale di Genova e il relativo catalogo curato da Sergio Maifredi e Corrado D’Elia, sono uno strumento molto utile per ripercorrere e approfondire la ricca tradizione polacca e anche per riflettere sull’importanza di un oggetto spesso relegato a mere questioni di marketing come il manifesto teatrale.
La storia del manifesto d’arte in Polonia è assai articolata e inizia verso la fine dell’Ottocento per svilupparsi soprattutto a partire dal 1918 con l’indipendenza della Polonia. Facoltà e Accademie cominciano a istituire corsi specifici coinvolgendo artisti di primo piano. Il saggio contenuto nel catalogo di Agnieszka Dydo e di Krysztof Dydo, collezionista ed esperto dell’arte del manifesto, da cui provengono le opere esposte a Pistoia, ripercorre le varie tappe di questa interessante storia mettendo l’accento al periodo tra il 1953 e il 1965, un lasso di tempo nel quale, nonostante la censura, l’arte del poster celebra i suoi maggiori trionfi. E lo stesso accade nel decennio successivo con una grande ricchezza di proposte nonostante una censura ferrea. Il riferimento è soprattutto a un immaginario surreale e fortemente cupo. I volti monotoni e squadrati del realismo socialista cominciano a farsi mostruosi e pieni di mistero. Si guarda ad artisti come Bosch, Bruegel, Dalì, Arcimboldo, Goya, Hokusai, Picasso… Secondo Wieslaw Walkuski, noto artista di poster, illustrazioni e pittura, la vivacità del manifesto derivava anche dal fatto che «non vi era alcuna forma di pubblicità (fortunatamente per il Manifesto d’Arte), perché non vi era alcuna necessità di pubblicizzare un prodotto, un po’ perché mancava tutto, un po’ perché quanto era prodotto aveva già un destinatario preciso».
Dopo il 1989 evidentemente cambia un po’ tutto, perciò osservare i manifesti in mostra a Pistoia e quelli raccolti nel catalogo, è utile per seguire una storia gloriosa adesso inevitabilmente a contatto con un'altra forma di censura, quella del mercato, che spinge a semplificare e omologare, e soprattutto a trasformare l’arte in pubblicità. In realtà in Polonia la forte tradizione artistica ha permesso di mantenere una grande varietà di approcci e una vera qualità, che i manifesti esposti dimostrano. Tra i nomi più importanti: il maestro Waldemar Swierzy e poi Wieslaw Walkuski, Wiktor Sadowski, Rafal Olbinski, Wieslw Grzegorczyk, Jerzy Czenriawski… Sarebbe interessante mettere in parallelo questa storia alla vicenda italiana, certamente meno organizzata e più confusa, ma ricca comunque di grandi nomi. Se si passano oggi in rassegna i materiali grafici di compagnie, festival e teatri è facile accorgersi che quasi sempre c’è una certa corrispondenza tra qualità del lavoro e la qualità della grafica utilizzata. L’impressione generale è però che l’attenzione per i materiali grafici siano ormai in gran parte strategia di promozione e di marketing. Abituare l’occhio a una grafica di qualità diventa perciò un esercizio utilissimo per capire qualcosa in più nel mare magnum di pseudo proposte culturali. I manifesti, nel bene e nel male, possono dire tante cose e nella distrazione diffusa, soffermarsi su un’immagine, può rivelare davvero sorprese inaspettate.