Per aprire un discorso sulla sesta edizione di BilBOlbul ci è sembrato necessario prendere in considerazione il dove e il quando. Il dove tenta di circoscrivere il terreno politico in cui si colloca un festival che ha scelto la cifra della ricerca e della discontinuità. Dopo avere esplorato il segno nella sua dimensione narrativa, avvertiamo oggi il tentativo di spostare lo sguardo in cerca di artisti che abitano per natura i confini delle forme. Il quando corrisponde alla tempestività: accorgersi di tensioni nel loro accadere, portandole al centro della discussione prima che entrino nel vortice delle tante nicchie culturali odierne. È accaduto col romanzo a fumetti, sembra potere accadere nuovamente nella ricerca di percorsi un po’ meno classificabili, un po’ meno appoggiati sul conforto di trame e riquadri. Nei prossimi giorni avremo modo di mettere alla prova queste tensioni, mentre ora ci sembra importante partire dai linguaggi, e da posizioni che fungano da base condivisa per una discussione che travalichi gli ambiti disciplinari.
Matteo Marchesini, intellettuale e scrittore bolognese, ci è sembrata la persona più adatta per porre delle domande sul dove e sul quando, in attesa delle visioni del festival.
A Bologna, marzo 2012
La mia impressione, dopo qualche mese di assestamento, è che non sia stata presa una chiara direzione. In una situazione di crisi e mancanza di risorse, quello su cui si punta sono eventi singoli o attività di associazioni la cui ricaduta corrisponde a una “concretezza moderata”. L’ho scritto più volte: sarebbe necessario puntare su percorsi senza aspettarsi un ritorno politico immediato. Il budget annuale delle biblioteche di quartiere è uguale a quello necessario per organizzare l’evento di una sola serata. Ci sono settori in cui la coincidenze fra le esigenze di visibilità della politica e quelle della cultura sono accettabili, mentre in altri campi il contrasto è evidente. Viviamo nella prima città d’Italia che ha istituito i quartieri ma, di fatto, eccetto pochi casi felici, i quartieri non vivono e tutto ruota attorno al centro.
Bologna e i suoi discorsi culturali
L’Università di Bologna è stata un modello per l’imbrigliamento accademico della cultura di massa, nel bene e nel male. Vedo una forte predisposizione a sponsorizzare alcuni filoni di indagine che partono dalle scienze della comunicazione o che mettono l’accento su zone che sono state tutte “arate”: la letteratura per l’infanzia e per l’adolescenza o il fumetto. Vedo alcuni generi che sono venuti alla ribalta in quanto linguaggi specialistici, ma che a mio avviso non lo sono.
Graphic novel e dintorni
La cosiddetta graphic novel è per me un tipico esempio di quella che una volta si chiamava industria culturale, è il tentativo di nobilitare un genere facendolo passare per altro, in questo caso l’industria è di nicchia. Mi ricordo una vecchia satira di Cases, che immaginava nel 2020 un’università in cui si sarebbero scontrate due fazioni: la fumettologia scientifica di Umberto Eco e la fumettologia empirica di Oreste del Buono. Non ci siamo lontani.
Artigianato, libertà, talento
Sono un grande lettore di fumetti popolari e cerco di seguire anche le produzioni cosiddette “alte”. Mi chiedo: con graphic novel stiamo definendo i contorni di un’arte? Non credo, penso si tratti di un’etichetta più che altro di mercato. Voi parlate della componente artigianale e di sperimentazione. Io mi chiedo se questo tipo di artigianato si adatti al fumetto. A proposito del Poema a fumetti di Buzzati citerei le parole che scrisse Cesare Garboli: «Il Poema a fumetti ignora quella simultaneità, quell’automatismo per cui un vero fumetto è sempre un film misteriosamente spiaccicato sulla carta. Dov’è che ci si innamora della vicenda, dov’è che ci si innamora e si guarda senza accorgersi di leggere e di guardare? Soprattutto nei fumetti giallo erotici l’immagine non è che suggerimento, abbozzo, pittura non finita. In tutti i sensi i fumetti ci invitano a fare da soli, ci abbandonano alla nostra fantasia eccitata spingendola al punto in cui essa diventa un galoppo e non vede più niente davanti a sé eccetto lo specchio dei suoi desideri finalmente sfrenati. A quel punto, compiuta la sua missione viziosa, il fumetto
cessa di esistere, le sue immagini sono già diventate le nostre volgari inarrestabili fantasie».
Se penso alla produzione odierna di graphic novel mi imbatto spesso nella volgarizzazione di riferimenti pittorici o “alti” in un gioco che non contempla la capacità di presa del fumetto, quel puro abbozzo della fantasia in cui si scorre in maniera sempre più rapida senza che restino tracce. Allo stesso tempo, però, non ci troviamo nemmeno di fronte a un’opera pittorica. Ci sono certamente le eccezioni, come Pazienza o Andrea Bruno, per restare nel presente: Bruno fa delle liriche in disegno, fra quadro esistenziale e storia. Capiamoci: il panorama che sto descrivendo mi interessa, avete ragione quando mettete l’accento sulla forte componente di artigianato e di sperimentazione tipica di molte produzioni. Detto questo, mi pare manchi una riflessione teorica sull’adeguatezza dei mezzi ai fini. Forse la si può risolvere molto semplicemente: un’opera deve obbligare a pensare che non poteva essere fatta con mezzi diversi.
Le narrazioni del presente, lo sguardo critico
L’equivoco degli ultimi anni è stato l’emergere di un impegno civile versione midcult. Un misto fra retorica tribunizia ed estetismo, avanzi andati a male del “metellismo” alla Pratolini, un populismo oggi degradato dalla televisione. L’altro equivoco riguarda “la realtà”: un’opera d’arte per statuto s’inscrive in una società civile e per definizione dovrebbe saper scomporre le minime molecole della realtà che indaga. In molta narrativa italiana contemporanea vedo grosse molecole già date, prelevate dai giornali e dai media. Così facendo della realtà resta uno stereotipo. Allora occorre essere socialdemocratici e più inclusivi possibile quando si parla di azioni da condividere, ma decisamente non socialdemocratici quando si tratta di giudicare l’opera. Il programma di annettere fatti pubblici nelle opere semplicemente giustapponendoli a vicende private è stato sciagurato.