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Nel silenzio di un progetto triennale giunto a conclusione, nelle incertezze e preoccupazioni sul ciò che sarebbe stato del Festival Internazionale Del Teatro in Piazza, abbiamo salutato la scorsa edizione con una croce e tre punti di sospensione, con una riflessione sulla fine della triennalità che portava già in sé una domanda sul futuro del festival. Santarcangelo 09/11 era riuscito a essere più di una vetrina, più di un festival: pur proponendo ogni anno una visione artistica molto forte, si è da subito configurato come luogo di discussione e d’incontro, come composizione di diversità che, dialogando su un terreno comune, apriva i confini, offriva uno sguardo oltre l’opera e il teatro e sostava quindi più autenticamente in essi.
Valore aggiunto al quale l’edizione di quest’anno, che inaugura un nuovo progetto di tre anni, non sembra voler rinunciare, almeno nelle premesse. Santarcangelo•12 scaturisce sicuramente da contatti e continuità con l’esperienza conclusa lo scorso anno: resta il nome originale del Festival, come l’attenzione alla piazza, all’incontro tra individuo e comunità, all’infanzia e alla formazione a far saltare i confini del teatro; ma ne è stato ridisegnato il profilo, modificata la prospettiva e il terreno di lavoro su cui costruire la forma festival.
Santarcangelo•12, quindi, si lega a ciò che è stato, ma si compone di distanze, a partire dal passaggio dei vecchi coordinatori critico-organizzativi alla direzione (Silvia Bottiroli) e alla co-direzione (Cristina Ventrucci e Rodolfo Sacchettini), a cui corrisponde la scelta di non sostituire il vuoto lasciato dalla mancanza di un direttore-artista, di quello sguardo verticale che aveva così caratterizzato ciascuno dei tre anni.
La nuova triennalità sembra fondarsi proprio su questo vuoto, su questo spazio del possibile, luogo del dialogo su cui lavorare domandando, facendo “giocare liberamente” gli opposti: una visione individuale e lo stare in una cittadinanza, una piazza colma che lentamente si scopre vuota, un gioco che improvvisamente si rivela pericoloso, serio, necessario. Nel far muovere questo vuoto il programma oltrepassa il teatro e si riempie di incontri, concerti, film e corti d’animazione, libri e disegni. Non c’è una sola domanda, un solo taglio che fanno del festival un’opera; c’è piuttosto un dispositivo, di cui sono state poste le basi, ma che vivrà solo nel momento in cui inizierà a essere vissuto, attraversato da visioni, direzioni; una struttura disposta ad accogliere pensieri diversi e intrecciarli, farli muovere liberamente e metterli in tensione fra loro.
Abbiamo di fronte un festival che pone le domande soprattutto al nostro starci dentro, e noi dell’osservatorio critico lo affronteremo attraverso un laboratorio che tenteremo di ripensare, rispetto agli anni scorsi, per rispondere meglio ai cambiamenti che la nuova triennalità porta con sé.
Quest’anno continuerà il nostro dialogo fatto di riflessioni e approfondimenti col festival e col suo pubblico, ma questi pensieri troveranno una forma scritta solo su questo blog, che vi invitiamo a scoprire giorno per giorno insieme a noi, a cui si affiancheranno le sezioni Linee guida e Materiali a cura della direzione artistica. Aumenteranno però le occasioni di incontro dal vivo, con cinque appuntamenti di Radio Gun Gun (sabato 14, domenica 15, venerdì 20, sabato 21 e domenica 22) in onda in piazza Ganganelli, in cui, oltre a incontrare artisti, ospiteremo figure che ci aiuteranno nella riflessione, nell’apertura di nuove prospettive sul festival. “Piega” è il nome della nuova fanzine, interamente curata da un gruppo di disegnatori coordinati da Brochendors Brothers e Anna Deflorian: le loro immagini tenteranno di iniziare un dialogo con Santarcangelo•12 e col suo pubblico su un terreno che il festival ha scelto come suo proprio, il disegno.
Cambieremo, quindi, insieme al festival il nostro osservare, almeno nella forma: più complesso sarà ripensare lo sguardo, dirigerlo, perderlo di fronte a un dispositivo che si costruisce di tensioni, che chiama lo spettatore e lo mette in ballo fra giorno e notte, fra gioco e pericolo, fra sé e l’altro. Saremo anche noi nell’attraversamento, provando il più possibile ad allargare la cornice, senza perdere la riflessione: guarderemo non solo il festival, ma anche le relazioni, il suo pubblico, intromettendoci nel dialogo con le opere. Consci di come ogni visione possa correre il rischio di chiudersi in sé o di conformarsi ciecamente a una collettività, tenteremo di aprire i percorsi e le prospettive personali, di librare la loro portata non privata.