L’orizzonte culturale italiano è - purtroppo - cronicamente immobilizzato da contrapposizioni frontali, quasi costantemente esito di pulsioni ideologiche mai del tutto digerite. Per certi versi, siamo ancora dominati da una logica tardo dantesca, che ri-somatizza in eterno il conflitto tra guelfi e ghibellini, rendendoci così incapaci di riflettere in modo più lucido sulle oggettive evoluzioni della società di massa.
Anche la cultura teatrale non è esente da questo automatismo. Se osserviamo gli ultimi 40 anni della nostra storia teatrale, quante battaglie si sono consumate sotto l’altare di una presunta “identità” o “verità” del teatro: attore vs regista, testo vs corpo, teatro vs spettacolo, personaggio vs figura, ecc. Opposizioni che sicuramente possono anche alimentare un sano dibattito, ma occultano la natura imprevedibile, scistosa e magmatica dell’arte, se protratte oltre l’esercizio puramente retorico.
All’interno di questa ostinata “scienza del dualismo”, anche la cultura massmediatica ha trovato un onorevolissimo posto, proprio in virtù della fascinazione seduttiva da essa sempre esercitata sulle pratiche teatrali e performative (costantemente stigmatizzata come de-realizzante dalla frange più integraliste di artisti e intellettuali).
Tale cultura sta rilanciando al una nuova sfida alla rappresentazione. Siamo infatti di fronte al superamento della fase pionieristica in cui dispositivi e forme della cultura massmediatica popolavano fisicamente, con il loro “hardware”, spazi e modalità della scrittura scenica (la declinazione del video in scena, su tutti). Parallelamente ai mutamenti antropologici in atto nella società reale, in cui i dispositivi e i mezzi di comunicazione di massa abitano senza alcuna enfasi gli spazi e i tempi delle relazioni sociali, le forme della creazione scenica cominciano a indagare gli aspetti - come dire - “ergonomici” del linguaggio: nuove forme di relazione, nuove forme di scrittura scenica e drammatica, nuove forme di rappresentazione, nuovi atteggiamenti di aggregazione dei saperi, nuovi sistemi di attenzione dello spettatore. Nuovi oggetti di seduzione, appunto. Ma soprattutto, mettono in discussione i concetti di verità scenica e liveness, che ormai hanno bisogno di una urgente ri-discussione, minando il resistentissimo senso di colpa di chi pensa ancora nostalgicamente il teatro in termini di autenticità.
Fabio Acca*
*Critico e studioso di teatro, regista e dj. Svolge attività didattica e di ricerca presso il DAMS di Bologna