Il buio si è diradato da poco. Appeso a testa in giù c’è un microfono che oscilla sul palco. Mentre tra un dondolio e l’altro, troppo prese dalle proprie parole per accorgersi del movimento, le voci di due attrici (le brave Beatrice Baruffini e Serena Guardone) colgono a tratti la possibilità di amplificarsi. E il racconto singhiozza: «Un pallino/ ha iniziato a correre/ una capriola grandissima!».«Mamma, ma non era la storia di un burattino di carta?», sussurra una bambina dalla platea. Quasi, ora stai bene attenta. Questa è la storia di un fossile dell’animazione, di un viaggio raccontato con una carta dinamica e un po’ chiacchierona. Ma è anche il confronto tra un bambino e il suo “Io” a colori. Ci sono quaderni monocromatici a tre dimensioni, da cui partire per l’universo e iniziare a formarsi. Per prima cosa, dalle loro pagine sbucano due identiche palline. Ed eccoli poi, di foglio in foglio, i corpi dei protagonisti: lui da una parte e la sua piccola sfera emotiva dall’altra. Che siano vivi è un dato di fatto, parlano, si sfidano a ritmo sostenuto per modellarsi a vicenda e se l’uno si mette a testa in giù, l’altra in risposta si trasforma in chiave. Insieme si piegano a destra virano a sinistra e fanno verticali.
[Foto di Ilaria Scarpa]
I quaderni scorrono e così le combinazioni di immagini. Forse ora il tuo sguardo è ‘troppo piccolo’ per riuscire a dirselo, ma certamente attraversa con chiarezza ogni singola tappa. Si lancia al gioco con le onde di cartone e resta vigile per non lasciarsi affogare; ride di quel puntino rosso che tutt’a un tratto s’avvinghia al corpo dell’attrice, che prende e conferisce vita; passa da uno stato emotivo all’altro fino a entrare nel bosco di Cappuccetto rosso dove, occhi negli occhi, sosta di fronte a un lupo bianco di cellulosa. Infine percepisce paura e tristezza, ultime tra le sensazioni tridimensionali. E questa volta il quaderno non è né giallo, né blu: è grigio. Ma non c’è nessun altro passo da fare, per uscire dal racconto, e poter ricominciare.
[Foto di Ilaria Scarpa]
Pop Up. Un fossile di cartone animato, realizzato a Santarcangelo •13 dalla compagnia I sacchi di sabbia è uno spettacolo di teatro ragazzi dalla delicatezza rara. Promosso dal Teatro delle briciole, il lavoro rientra nel percorso produttivo “Nuovi sguardi per un pubblico giovane”, di cui hanno già fatto parte Baby don’t cry di Babilonia Teatri (2010) e La repubblica dei bambini di Teatro sotterraneo (2011). Qui la stratificazione cartacea e il dinamismo dei libri pop-up (realizzati da Giulia Gallo) hanno il compito di condurre la platea bambina all’interno della dimensione rituale del teatro. Luogo in cui non si ripristina, ma si fonda un patto soprattutto quando - come in questo caso - lo spettacolo intavola il dialogo con una precisa fascia d’età: quella dei bambini tra i 3 e i 6 anni. Quei ‘piccoli molti’ che sicuramente hanno già avuto modo di confrontarsi con percorsi linguistici che coniano finzioni d’altro tipo rispetto a quella teatrale: televisione, computer, videogiochi. Allora, spostandosi dalla saturazione visiva e sonora odierna, in Pop Up la scelta è quella di riammettere un immaginario essenziale, necessario non solo all’infanzia.