Manifesto del Terzo paesaggio (Quodlibet 2003) è il primo libro del paesaggista francese Gilles Clément pubblicato in italiano. Terzo paesaggio sono tutti quei luoghi - parchi, grandi aree disabitate, spazi industriali abbandonati, anfratti invisibili dove crescono rovi e sterpaglie - diversi per forma, dimensione e statuto, accomunati dall’assenza di ogni attività umana, e necessari per la conservazione delle diversità biologiche. Un piccolo libro che ci ricorda la peculiarità dei meccanismi riproduttivi naturali e l’importanza che essi hanno per il futuro del paese; un’opera di grande densità teorica che ha aperto il campo, nel corso di un decennio, a riflessioni che vanno oltre il tema del “paesaggio”, arrivando a toccare la sfera politica. E non è un caso; perché l’espressione Terzo paesaggio riprende la celebre frase del teorico della Rivoluzione francese Emmanuel Sieyès: «Cos’è il Terzo Stato? Tutto. Cosa ha fatto finora? Niente. Cosa aspira a diventare? Qualcosa». Il Manifesto non si limita a contrapporre città a paesaggio: riflette, senza alcun ricorso alla nostalgia, sulla differenza articolata tra spazi gestiti e spazi non gestiti dall’uomo, provando a fornire strumenti utili ad analizzare i territori dell’epoca contemporanea, in cui la distinzione tra città e non-città è sempre meno difficile da cogliere con chiarezza. Clément ci invita a posare uno sguardo critico su tutto ciò che è “altro” dal mondo organizzato e standardizzato, a osservare i comportamenti che si svolgono dentro questi spazi e le altre forme di “cittadinanza” che vi si instaurano.
Pochi sono i testi degli Anni zero, brevi quanto intensi come il Manifesto del Terzo paesaggio, capaci di far discutere animatamente sostenitori e detrattori. Perché le ricche riflessioni di Clément non sono certo esenti da interrogativi: può davvero lo spazio indeciso costituire una base per una diversa progettazione del paesaggio? È possibile elevare a modello “ciò che è abbandonato” e che in fondo ha il suo senso ultimo proprio nella marginalità? Hanno senso progetti che portino la luce su ciò che è “invisibile”? La risposta più ovvia sembrerebbe un no. Come scrive lo stesso Clément, istituzionalizzare il Terzo paesaggio significherebbe negarne il potenziale critico. Il paesaggio, dunque, per Clément, non è soltanto un universo di progettazione, ma anche e soprattutto un insieme di spazi in cui mettere alla prova le nostre disponibilità emotive.
Il giardino in movimento (Quodlibet 2011) fa da complemento al Manifesto del Terzo paesaggio, integrandone e arricchendone le idee in forma più estesa e narrativa. Il giardino in movimento racchiude in sé diversi gradi di leggibilità: una guida per il giardiniere, un trattato di filosofia della natura, un resoconto letterario delle esperienze che Gilles Clément come paesaggista, ingegnere agronomo, botanico ed entomologo ha fatto interagendo con la natura. È innanzitutto un’educazione dello sguardo, allo scopo di acquisire la facoltà di rinvenire ciò che nel mondo vegetale è al contempo invisibile e fondamentale: cosa significa dare corpo a un’idea paradossale come quella di «giardino in movimento»? come partecipare di uno spazio in cui la natura non è soffocata dalle briglie di un progetto? come sapere cosa non fare piuttosto che intervenire e aggredire?
Leonardo Delogu, in collaborazione con Pablo e Miguel Georgieff del collettivo di architetti e paesaggisti CoLoCo, e invitando a Santarcangelo lo stesso Clément, sembra voler provare con il progetto La disciplina del campo a ribaltare la questione: non domandiamoci cosa possiamo fare del Terzo paesaggio ma che cosa questo possa fare per noi. Siamo abituati a pensare e a progettare in termini specifici e determinati: qui dobbiamo fare questo, qua dobbiamo fare quest’altro! La disciplina del campo sembra invece guardare allo spazio indeciso, agli spazi di tutti, che non rispondono alle stringenti logiche della progettazione, ma favoriscono possibilità caotiche e accolgono ogni genere di diversità (come non potrebbe accadere in una piazza di città piena di caffé e vetrine).
Aderire al pensiero/progetto paesaggistico di Clément - come prova a fare La disciplina del campo - significa però essere consapevoli che la provocazione morale della sua proposta va ben oltre l’immediata spendibilità della stessa. Forse, il vero Clément non è da ricercarsi nelle sue realizzazioni, ma nel modello teorico che offre: solo assumendo un rinnovato attegiamento nei confronti di tutto ciò che ci circonda si può pensare di restituire dignità all’intero contesto del mondo vivente. Accogliere e non scacciare è l’imperativo di Gilles Clément. La vera sfida che un progetto teatrale accetta confrontandosi con il Manifesto del Terzo paesaggio è anzittutto essere consapevole del rischio che l’esperienza proposta - una camminata in un pratone, dei “giardini in movimento” - perde di senso se non è in grado di andare oltre un’estetica di superficie. Il teatro può allora contribuire a favorire un rinnovato atteggiamento morale verso il paesaggio attraverso una nuova rivitalizzazione estetica delle cose: ricordando che la bellezza non va confusa con la gradevolezza visiva, e che il bello non ha legami con alcun principio di utilità. Il Terzo paesaggio deve, prima di ogni altra cosa, essere pensato come sforzo di libertà estetica, oltre che come occasione di pacificazione etica con l’esistente.