CONVERSAZIONI > Mårten Spångberg: «La danza è il contrario della coreografia»
Nella sua vita precedente Mårten Spångberg è stato un teorico della performance, un critico esperto di danza, un professore universitario, un curatore di festival, in una parola una delle personalità di riferimento nella scena della danza europea. Oggi si occupa di danza e coreografia in una modalità espansa, la sua capacità di analisi e riflessione contagia la pratica artistica come performer, danzatore e coreografo. Il pensiero di Spångberg traccia un arco logico che attraversa tutti gli aspetti del mondo teatrale contemporaneo, da quelli legati a dinamiche di sistema e organizzazione alle questioni più prettamente estetiche e politiche. La sua attività scenica viene spesso etichettata come radicale, ma è la radicalità concettuale lucida e implacabile di chi sceglie di immergersi completamente nelle contraddizioni del mondo in cui vive, incendiandole e sfidandole, sapendo che la battaglia potrà essere inutile, e tuttavia è ciò che siamo chiamati a fare.
Riproponiamo lo stralcio di una conversazione avvenuta durante la Piattaforma della danza balinese, dove l’artista recide, secondo la sua prospettiva, il legame tra coreografia e danza, aprendo per quest’ultima un territorio di libertà.
«Nel 1958 è stato pubblicato il libro di Doris Humprey The art of making dances (in italiano tradotto come L’arte della coreografia), in cui l’autrice non spiega cosa sia la danza ma ne istituisce il legame con la coreografia, definendo quest’ultima come l’arte di creare danze nel modo in cui ci aspettiamo che siano: in una forma intesa come convenzionale.
Da questa pubblicazione in poi prende sostanza un legame di causa ed effetto tra le due dimensioni come se fossero lo yin e lo yang di un tutto armonico, un unicum in cui è naturale per un danzatore diventare coreografo e si dà per scontato che un coreografo sappia anche danzare, o quantomeno trasmettere un certo tipo di conoscenza corporea ai suoi danzatori. È necessario, però, rompere questo nesso di causalità.
La coreografia è del tutto simile all’architettura: come gli architetti temono il disordine e quindi lo mettono in forma, costruiscono barriere, disegnano comparti, così il coreografo è qualcuno che ha paura del movimento e quindi lo organizza. Quel che fa paura del movimento è il non permettere di essere organizzato, o il non esserlo di per sé, mentre la coreografia è esattamente la strutturazione di qualcosa. Ciò non significa automaticamente che la coreografia crei strutture limitanti; al contrario, può organizzare qualcosa che è strano e difficile da riconoscere. In ogni caso, pur essendo due discipline molto legate, architettura e coreografia hanno due approcci completamente diversi: la prima organizza lo spazio sopra il tempo, mentre la seconda organizza il tempo sopra lo spazio.
Ora, una struttura è qualcosa di astratto, non ha di per sé un’espressione, ma affinché ci si possa avere a che fare è obbligata ad assumerne una. Il grande equivoco è che la coreografia in quanto struttura astratta debba assumere come unica espressione possibile la danza, mentre può articolare forme di espressione completamente altre. Un esempio fra i molti possibili sono le partiture coreografiche di Bruce Nauman, che non sono state create per essere davvero danzate ma per essere guardate, stampate e fruite attraverso i movimenti del pensiero che provocano.
La coreografia è quindi una forma di conoscenza, un sapere, e gli strumenti che applica non sono in relazione causale con l’espressione-danza, ma sono strumenti generici che possono essere utilizzati per produrre qualsiasi cosa. Potremmo per esempio utilizzarla per analizzare il tempo atmosferico, le nuvole che si muovono sopra la nostra testa, e se lo facessimo smetterebbe di piovere perché la coreografia non conosce la pioggia: ciò che scende dal cielo sarebbero allora passi di danza, grand jeté o concatenazioni di modern dance, non certo gocce di pioggia.
La danza è l’esatto opposto della coreografia: è una capacità espressiva, cioè si muove strategicamente all’interno delle strutture. In quanto strategica ha bisogno di una struttura, ma non per forza di una struttura coreografica; per esempio possiamo ritrovarci e ballare semplicemente perché ci piace farlo.
La coreografia è ciò che permette di leggere il movimento attraverso il tempo ed è necessaria una forma di organizzazione per poter vedere la danza, riconoscerla e posizionarsi di fronte a essa; ma esiste anche il movimento senza struttura, una danza senza organizzazione che per noi come individui e come collettività non è ancora diventata un sapere.
La danza, quindi, è qualcosa che sta in equilibrio tra l’invisibilità e il farsi conoscenza.
Ciò che viene organizzato attraverso la coreografia entra subito nell’ambito del possibile, mentre un’espressione senza organizzazione è ancora pura potenzialità. Si tratta di una distinzione molto importante: la coreografia permette di riconoscere l’intelligenza della struttura, ma offre solo l’esperienza di una prossimità con una possibilità già in atto. Al contrario, la dimensione potenziale permette di immaginare ciò che ancora non è pensabile e conduce al fantastico: la danza, quindi, offre una possibilità di cambiamento che non è deterministica in uno spazio assoluto di libertà».