Crescere
Immagino lo sguardo come se fosse un’ostrica. Per ampliarlo, per renderlo più consapevole, ci vogliono un po’di forzature. Un film può essere un luogo in cui allenarsi; uno spazio disegnato per permettere a chi guarda di riconoscere le proprie scelte. Dando vita così a un esercizio che è politico, nel senso che agisce sulla comunità.
Il fatto è che dovremmo renderci conto che molto di ciò che facciamo equivale a una scelta. Anche se spesso abbiamo la sensazione che esistano uomini straordinari in grado di compierne e altri che invece accettano una situazione.
Da questo punto di vista, esporsi o rifugiarsi dentro una tana sono decisioni che per me hanno un valore identico.
Le meraviglie è un film in cui proviamo a mostrare praticamente questo processo. Si vede nel modo in cui sono stati raccontati i personaggi degli operatori televisivi, per esempio: guardandoli lo spettatore capisce che non sono malvagi, ma “cattivi” nel senso etimologico del termine, perché hanno deciso di vivere in quella scatola. Si sono autoconsegnati alla cattura.
Lo stesso discorso vale per la costruzione visiva del film che rende liberi di guardare dove si vuole e induce un procedimento continuo di scelta: succede perché spesso nelle immagini non viene indicato il fuoco, allora anche lo sfondo risulta in primo in piano.
Poi ci sono i movimenti di macchina. Per cui molte volte, soprattutto di fronte a un evento tragico per l’andamento della storia, abbiamo deciso di non riprendere l’azione direttamente, ma di spostare lo sguardo altrove.
Tutto ciò per dire che anche al di fuori di un film, nel quotidiano, si ha la possibilità di scegliere come vivere. Credo che questo sia un bel messaggio da restituire al pubblico.
Far crescere
C’è un tema importante legato sia a Corpo Celeste, che a Le Meraviglie. Cosa trasmettere ai propri figli, come farlo: anche in questo caso si tratta di scelte. E una delle domande che riguardano questo passaggio è se esista la possibilità di una trasmissione dell’esperienza priva di quei due grandi filtri che sono la rabbia e la gloria.
Per crescere le bambine, per passare loro la propria esperienza, i genitori de Le meraviglie si allontanano da un mondo che percepiscono come pericolo. Ma nella realtà non può esserci una separazione così netta. Quindi nei figli bisogna avere anche un po’ di fiducia, perché non tutto può essere controllato. È una questione radicale.
Il modo in cui abbiamo lavorato sulle immagini, sui suoni, con gli attori prova a trasmettere allo spettatore proprio questo messaggio: non si può controllare tutto. Ed è positivo perché tra ciò che crediamo di poter decidere e ciò che accade, in quello spazio lì, c’è la conoscenza.
Che poi è l’esatto contrario di ciò che dispensa il mondo. Un mondo che rende disponibili gli orari in cui ci siamo connessi, ci dice cosa e a chi abbiamo scritto. Ma tutto ciò non fa che generare l’illusione, il fantasma, di una possibilità di controllo totale... allora mi vengono in mente le api. All’inizio non eravamo sicuri che sarebbero state parte del film, c’erano anche delle difficoltà di tipo assicurativo, sapevamo solo che questa famiglia avrebbe svolto un lavoro agricolo. D’altro canto però, l’idea di lavorare con questi animali mi rendeva tranquilla. Non sapevo bene perché, poi l’ho capito. Le api sono una sorta di paradosso dell’allevamento. L’apicoltore non può costringerle a rimanere in una gabbia, può solamente chiedere loro “per favore, restate”, provando a dare dei suggerimenti, consigliando i posti, i fiori migliori.
Ecco, mi sembra che le immagini di un film e la narrazione abbiano la stessa autonomia. Si possono suggerire dei percorsi, ma ci saranno sempre delle zone non del tutto chiare che vanno ricostruite.
In qualche modo trovo che questo faccia parte anche del processo educativo.
Ieri, oggi, domani
Le Meraviglie fonda le sue radici nel presente, nello stare al mondo. È un film mosso dal desiderio comune, che però è anche un bisogno, di poter mettere insieme le tante cose che accadono nella vita e che facciamo una grande fatica a conciliare tra loro.
La nostra è un’epoca in cui tutto marcia rigorosamente verso l’analisi. C’è sempre qualcuno pronto a dare la spiegazione del perché amiamo certi cibi, o abbiamo fatto quei sogni, svelandone i traumi nascosti. Personalmente, invece, ciò di cui sento la mancanza è un processo di sintesi. E trovo che le immagini, il modo organico in cui un film è in grado di registrare ciò che accade, abbiano una forza tale da poter rispondere a questa esigenza.
Dello stare al mondo poi, Le meraviglie affronta quel grande enigma che per l’essere umano è la socialità. Parla di una famiglia, di una comunità e dei risvolti del vivere comunitario. Lo fa ponendosi domande molto concrete, avendo seguito un’ispirazione che potrei dire sia giunta sempre dal basso.
Così abbiamo inventato un mondo che guarda al reale, ma i cui tratti sono anche un po’mitologici, misteriosi.
E siamo arrivati a compiere quell’operazione che si fa sempre quando si scrive un film, ma che questa volta mi pare sia avvenuta in modo molto dolce, molto gentile: inventando tutto ciò che non viene mostrato allo spettatore, ma che rispetto alla storia esiste.
Il punto di partenza è stata una mappa. Una mappa in cui c’erano la casa di Gelsomina, la protagonista, quelle degli altri abitanti del paese, un lago, l’isola, la grotta. Uno spazio inventato, certo, ma con una propria geografia. Poi c’erano i libri, le canzoni e i film a cui ognuno dei personaggi è legato.
E siccome era tutto materiale che ci sembrava importante, abbiamo creato un sito che ha la stessa struttura di una casa. Si entra e ogni stanza ha i propri riferimenti. O meglio, quelli dei suoi abitanti.
Spesso qualcuno mi chiede perché ho scelto proprio il nome di Gelsomina, ma non sono io ad averlo fatto, è stato suo padre. Perché ogni informazione, ogni vicenda è sorta da una realtà che si è definita via via.
Succede così … si disegna il campo, si dà qualche regola e poi si prova ad osservare cosa nasce, e cresce al suo interno.