Dar conto dell’evento del linguaggio, mettere sotto la lente i meccanismi della comunicazione orale, l’atto linguistico, la voce e le sue (dis)articolazioni, la potenza espressiva delle parole, la forza illocutiva degli enunciati e la prammatica della conversazione, ma soprattutto la funzione (anche politica) del parlante, la soglia su cui insiste la differenza tra parlare e prendere la parola, tra anatomia e cultura.
Su queste premesse nasce
Encyclopédie de la Parole, progetto ideato da Joris Lacoste al Laboratoires d'Aubervilliers nel 2007, quando ne era co-direttore. Da quel momento, l’
Encyclopédie ha dato avvio a un’immensa collezione di documenti sonori registrati in un sito-archivio, che comprendono discorsi politici, annunci, rituali, lezioni di ballo, commenti sportivi, dialoghi di teatro o tratti dal cinema, poesia sonora, pubblicità, interviste, messaggi telefonici, materiali etnografici, sermoni, chiacchiere, memorie, serie TV, sitcom, istruzioni linguistiche, brainstorming, insulti, sprechgesang, frasi fatte, cronache radiofoniche, telegiornali, dichiarazioni d’amore...
A discapito del nome, il progetto non rivendica un carattere di scientificità, né tende all’esaustività. È pensato come un oggetto estetico da attraversare. A partire dai documenti audio raccolti, l’
Encyclopédie de la Parole, infatti, negli anni ha prodotto sessioni d’ascolto, drammi sonori, performance, lecture, installazioni sonore, laboratori, progetti radiofonici (con Radio Arte e France Culture) e
Suites chorales, ospitati nei maggiori festival e centri di ricerca europei. Uno di questi momenti,
Suite N° 1 “ABC”, composizione e messa in scena di Lacoste, è stato presentato domenica e lunedì scorso al teatro Novelli di Rimini, nella cornice del Festival di Santarcangelo 14, grazie alla collaborazione con Short Theatre di Roma e Contemporanea di Prato.
Un direttore d’orchestra (Nicolas Rollet) dirige un coro multilingue di ventidue performer: undici attori e cantanti e undici interpreti italiani selezionati attraverso un bando. Proferiscono una partizione di quaranta estratti del catalogo dell’
Encyclopédie. La disposizione dei materiali scelti non è ordinata sulla base del loro contenuto semantico. Tra gli spezzoni linguistico-sonori si tessono micro-relazioni indipendentemente dalle diverse categorizzazioni di genere, origine e contesto del prelievo.
[Foto Hèrve Véronèse]]
Il brusio indistinto degli spettatori prima dell’inizio della performance cede il passo a un frammento tratto da un’assemblea di Occupy Wall Street del 2001. Segue un sermone avventista, il discorso di Barack Obama alla Convention Nazionale dei Democratici (2008), poi l’andamento robotico dell’orologio parlante (in francese), la pronuncia del proverbio “sotto la panca…”, un lancio d‘agenzia di Enrico Mentana dal Tg La7, una lezione di ebraico, Maria Callas, un segmento da
I Simpson, un pezzo dalla Tv spagnola, giochi di traduzione,
Atomic alphabet di Chris Burdon del 1982, gli inconfondibili tic della fonazione di Slavoj Žižek da
The Perverts Guide to Cinema, una lezione di cinese, un calcolatore,
You talkin’ to me? di De Niro da Taxi Driver… Questi “mimodrammi della parola orale”, per dirla con Marcel Jousse, restituiscono vocalmente, nel modo più fedele possibile, la
prise de parole legata ai contesti d’uso in cui i singoli eventi comunicativi si sono generati. Ma questa fedeltà non implica imitazione. Si tratta piuttosto di entrare musicalmente nelle parole, riprodurne altezza e intensità, ritmo e durata delle sillabe, sfumature di timbro e cadenze gergali, allitterazioni e tic verbali. Si compone così una partitura ipnotica, eseguita da continui cambi di interpreti e posizionamenti nello spazio, che attiva rispecchiamenti e modula distanze. Variando stili, registri e lingue, questo corpus collettivo diventa l’arena straniata di una coralità, in cui ogni performer si posiziona con le proprie marcature corporali a disposizione di una polifonia che esprime un vero “godimento dell’emissione”, transitando nell’
entre-deux del corpo e della lingua. La bocca, nell’emissione, genera morphing timbrici, articolazioni di tono, volume, cadenze che smontano i parlati (in maschera, di petto, falsetto) fino a produrre bisbiglii, grida, pause ed esitazioni, calcolate autocorrezioni, in un pieno di segnali discorsivi. E ancora cacofonie, permutazioni, reticenze leziose, digressioni e laconismi cedono il passo a inflessioni argomentative e climax che procedono per scalini ritmici.
Questo corale
voicescape, spazializzato nel rinvio tra i corpi, si colloca nel campo dell’audizione, convoca l’ascoltatore in un gioco fonetico e fatico di riverberi che ospitano la parola proveniente da un altrove, e ha, in primis, per oggetto il dire e l’atto che lo produce e poi, infine, anche effetti di significato.