«È arrivato corpo via mare, galleggiava come un morto, senza vita»: è Kaspar Hauser che arriva su un’isola abitata da uno sceriffo, un pusher, una duchessa, una puttana, un prete e due servi. Il corpo che si spiaggia è quello di Silvia Calderoni, è lei il fanciullo d’Europa, il presunto nobile senza una grammatica per il mondo che sa solo dire il proprio nome e ha il desiderio di diventare cavaliere.
La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli è la parabola dell’adolescente, di un momento in cui si è muti e dominati da volumi pompati sempre un po’ più su. Vincent Gallo interpreta, da par suo, un doppio ruolo: da sceriffo se ne prende cura, come pusher fa il lavoro sporco. La duchessa, Claudia Gerini, è incuriosita, lo incontra, ma poi in una scena che ricorda le atmosfere e la fotografia di Ciprì e Maresco, fa annunciare dal servo al popolo – assente – e a un cane che «Kaspar Hauser è un impostore, né profeta, né idiota, ma un furbo».
Il ragazzo si aggira per l’isola, cerca il suo destino, impara a fare il dj, ma la sua inadattabilità è tutta nelle parole del prete eremita, Fabrizio Gifuni: «Questa non è un’isola, qui non ci sono isole […], ma se non c’è dentro né fuori da dove cazzo viene fuori lo straniero? Lo capisci perché sei perseguitato, Kaspar Hauser?». Non c’è risposta per chi si rifiuta di vedere, nel fanciullo spiaggiato e disadattato, il re che balla. Sopra a tutto c’è la musica di Pascal Arbez-Nicolas (Vitalic), fa quello che deve fare, sottolinea e spinge Silvia-Kaspar e Vincent Gallo al ballo tra rocce e spiaggia. Intorno: nessuno. La leggenda di Kaspar Hauser alza il volume perché il primo ad alzarlo oggi è il fanciullo d’Europa. Quando il film finisce è come alla fine di un concerto, o di un rave, si entra in un sordo silenzio e lentamente ci si riappropria dei suoni, dei loro dettagli. In un ascolto che riparte da zero si può addirittura sperare di cogliere il silenzio inaudito e i balbettii profetici dei Kaspar Hauser che si aggirano per l’Europa.