Entriamo nell'opera, letteralmente. Non c'è confine tra il nostro spazio e quello dei danzatori, se non una membrana invisibile, tracciata solo per proteggere due aree d'azione: il nostro osservare e la danza degli interpreti che ci stanno dinnanzi. Al centro della sala prende vita The Nature, collezione visionaria di gesti e movimenti ad opera del coreografo Mårten Spångberg. In uno spazio circolare i danzatori si muovono lentamente, come se procedessero in una bolla dove l'aria è più densa, più difficile da attraversare. Noi stiamo attorno, seduti, sdraiati, accovacciati su sottili coperte colorate, intrecciando i nostri piedi col confine della scena, entrando a far parte di uno sfondo esotico, multiforme, senza quinte. Tutto è aperto, mobile, volatile. Con i loro trucchi verdi rosa e celesti sul volto ci guardano senza vederci, prendendoci di mira come se però fossimo solo fantasmi, irreali testimoni. Ai momenti di delicato attraversamento si alternano quadri di una danza ritmica, che con l'intreccio dei corpi dei cinque abitanti di questo nuovo mondo disegna traiettorie circolari, spirali, ascendenti.
[Foto Ilaria Scarpa]
Seduto in disparte, Spångberg ha sulle gambe incrociate il suo portatile. Concentrato e fermo, osserva da dentro, e comunica con un dj seduto in mezzo al pubblico. Sentiamo le notifiche di skype che interrompono gli occasionali silenzi, alle quali segue sempre una canzone che in modo sottile influenza la densità di quell'aria, accelerando o dilatando i movimenti.
Il mood è romantico, le canzoni sono una lunga serenata, e in quest'atmosfera di colori e angoli variegati sembra di essere entrati nel sottomarino giallo dei Beatles, dove sfondo e figure sono in moto perpetuo, e chi guarda è semplicemente presente, ma con slancio e sentimento. I danzatori si guardano tra loro, si sorridono persino, talvolta, per poi tornare dentro il movimento come se si fossero solo per un attimo distratti dal loro obiettivo. In questi attimi di apertura, crepe vere e proprie di una relazione solo apparentemente anarchica, in realtà appoggiata su una solidissima struttura di appuntamenti tra occhi e gesti, tra ascolto e colori, la membrana appena percepita all'inizio si sfalda definitivamente. Ed ecco che si aprono, in quegli attimi, consapevolezze nuove, di distanze incolmabili o vicinanze platoniche, di appartenenza a un cuore di bellezza condiviso, della paura di poterlo perdere da un momento all'altro.