Contrabbassista solista e compositore, Daniele Roccato è noto tanto nel mondo della musica quanto in quello del teatro contemporaneo. Ha al suo attivo concerti e collaborazioni con le maggiori personalità artistiche del campo. Con Stefano Scodanibbio ha fondato l’ensemble di contrabbassi “Ludus Gravis”. Nel versante della scena contemporanea consolidata è la collaborazione con Vitaliano Trevisan, mentre di più recente nascita è quella con Virgilio Sieni, che indaghiamo nella presente conversazione. Contrabbasso e voce dialogano anche nei progetti Nuvole. Casa di Chiara Guidi e Lus del Teatro delle Albe, dove le folate delle corde si trasfigurano ora “combattendo” ora interloquendo con le macchine del suono di Luigi Ceccarelli.
Abbiamo incontrato Roccato a pochi giorni dal debutto di Le Sacre di Virgilio Sieni, che contiene un Preludio con le musiche scritte da Roccato. Vi proponiamo un’intervista introduttiva sul suo lavoro e sui rapporti fra musica e gesto.
Come è iniziata la collaborazione con Sieni?
Ho conosciuto Virgilio Sieni nell’ottobre del 2012, in occasione di Màntica, festival diretto da Chiara Guidi. Io suonavo un brano di Stefano Scodanibbio sul quale Virgilio improvvisava, da quel momento è nata l’idea di immaginare future collaborazioni. Sieni mi invitò così alla Biennale Danza per Agorà Tutti (2013), successivamente abbiamo collaborato per Corpus – Deposizioni e Visitazioni a Palazzo Strozzi a Firenze (2014), per il Vangelo Secondo Matteo alla Biennale Danza 2014, per Vita Nova Brussels e infine per Dolce Vita _ Archeologia della Passione. Il lavoro su Preludio è dunque il sesto nel nostro percorso congiunto. Ci siamo conosciuti improvvisando, e abbiamo proseguito.
Daniele Roccato e Virgilio Sieni a Màntica
Musica e danza si configurano, grossolanamente, come due astrazioni che dialogano nello stesso spazio. Come farle incontrare per arrivare alla concretezza di una narrazione?
La domanda è molto chiara, la risposta non lo sarà altrettanto. Si tratta di creare dei rapporti dialettici fra elementi che, al massimo, sono accomunati da un metalinguaggio, ma che in realtà sono indipendenti. Corpo, gesto e danza hanno una provenienza e un’archeologia diversi dalla musica. Certo, alla base di tutto si trova l’uomo, dunque ci sono il desiderio, l’espressione, la necessità. Credo che il nostro lavoro consista nel cercare dei punti di contatto in questo “livello zero”, anche se ogni progetto ha le sue peculiarità. In Dolce vita, per esempio, ho realizzato la musica dopo avere visto la coreografia, mentre per Preludio è accaduto l’opposto, le musiche sono nate dopo un dialogo fra me e Sieni nel quale abbiamo affrontato questioni molto generali. Solo in un secondo momento ho potuto assistere al lavoro finito, e ho dunque operato alcune modifiche in relazione a durate e connessioni.
Il rapporto fra musica e danza si regge su approcci che di volta in volta possono essere leggermente o radicalmente diversi: c’è qualcosa di molto fragile che sembra tenere tutto insieme, qualcosa che si modifica continuamente. Il punto in cui danza e musica si incontrano, pur potendolo afferrare nella pratica, quando provo a definirlo diviene quasi inconcepibile, sfugge da tutte le parti. Mi rendo conto di avere risposto in modo non diretto…
Eppure c’è una chiarezza di fondo nella risposta, sebbene l’approdo non sia del tutto definibile.
È una faccenda curiosa. Sotto un certo punto di vista la musica non ha bisogno di nulla, mentre la danza può avere forse bisogno della musica… o forse no. Sarebbe riduttivo formulare solo in questi termini la relazione fra i due poli. Allora mi viene da dire che ogni gesto è autosufficiente, eppure è come se chiamasse la musica, la invitasse a giocare in un campo neutro, in una zona franca.
Nel teatro, invece, le condizioni cambiano. Le sue musiche si sono spesso confrontate con la parola…
Quando la musica incontra la danza ci si accorge della mancanza di un rapporto dialogico che potrebbe facilitare l’espressione musicale e inquadrarla. Il compositore, nella danza, ha a disposizione una libertà maggiore, ma deve fare i conti anche con l’assenza di appigli dialettici, che nel teatro sono ben presenti. Nel teatro la recitazione invade lo spazio acustico, crea una struttura di appoggio ma allo stesso tempo costruisce dei limiti.
Veniamo a Preludio, la prima parte dello spettacolo Le Sacre, un dialogo fra corpi in scena e musiche eseguite dal vivo.
Senza volermi sostituire a Virgilio Sieni, posso affermare che questo Preludio alla Sagra tratta qualcosa che viene prima della nascita dei riti e dei miti, prima della formazione della comunità. È come se si andasse indietro nel tempo e si osservasse la nascita delle comunità. Non ho ragionato in termini di “preludio musicale” alla Sagra della primavera. La Sagra è probabilmente il pezzo più importante del Novecento, la sua stratificazione e il suo peso accessorio non sono stati l’oggetto del mio lavoro. Il mio è un Preludio per contrabbasso solo in quattro movimenti.
Daniele Roccato
Quale è stato, quindi, il percorso di composizione?
Nel lavoro con Sieni, in fase di riscaldamento ho spesso eseguito una composizione nata nel 2009 e scritta in origine per un duo con Vitaliano Trevisan, scrittore col quale collaboro. Lo spettacolo si chiamava Solo et pensoso, e il brano in questione ne faceva parte. Quasi subito dopo averlo composto il brano è diventato autonomo, ho iniziato a eseguirlo ai concerti chiamandolo Sleeping Beauty. Successivamente la composizione è confluita in un dittico dal titolo Minima Colloquia, con la seconda parte formata da un raga “strano”, “delirante”, una specie di brano trash metal. Dopo averla ascoltata varie volte durante le prove, Virgilio mi ha proposto di lavorare alle musiche del Preludio inglobando Sleeping Beauty, che è diventato il quarto e ultimo movimento di una suite. Si tratta, formalmente, di un pezzo organico che lascia intravedere la forma della ciaccona, con tema e variazione su scansione inizialmente ternaria ma poi contraddetta in binaria. Mi interessava che l’inizio e la fine di ogni sezione non fossero chiaramente definite, come se ognuna diventasse una specie di nastro di Moebius. Si torna sempre al punto di partenza, non si capisce bene dove collocare la fine e l’inizio, vi sono delle cellule, delle rimembranze che assomigliano a molte musiche già ascoltate, ma queste non si manifestano mai del tutto, sono ingabbiate come dentro a un circolo vizioso. Ma ripartiamo dal principio della suite. La prima parte del Preludio si chiama Vilma’s memories, in onore della mia vicina di casa che mi telefonava ogni volta che mi sentiva suonare il brano per raccontarmi i suoi ricordi. È una composizione di matrice minimalista, rappresenta per me il classico preludio barocco di una suite. L’impianto è razionalistico, tutto è misurato. Il secondo movimento è una rottura di tale clima calcolato, e per questo subentra un forte elemento anarchico. Ogni tentativo melodico viene atomizzato dalla scia dell’arco, che rimbalza velocemente sulla corda, come se volesse sgretolare, dissolvere. Segue il terzo movimento, in cui si affacciano due note, due pilastri attorno ai quali tutto ruota. Il centro tonale del brano è dunque ambiguo, passa dal mi al la, vi sono inserti simil-espressionistici (tesi, lenti) che alla fine sviluppano la polifonia del quarto movimento, che abbiamo già descritto.
Le creazioni di Sieni generano delle onde emotive che sfociano in un senso di commozione, in un sentirsi parte dello stesso destino, spettatori e danzatori. Come vede tale questione, dal punto di vista musicale?
Ha toccato un punto cruciale che riguarda da vicino anche il mio lavoro compositivo. Sono sempre stato affascinato, fin da bambino, dalla maniera in cui un semplice basso discendente, che va dall’ottavo al settimo, fosse in grado creare una serie di connessioni, di rimandi, di memorie. Una nostalgia artificiosa, una sorta di nostalgia della nostalgia. Un fenomeno in grado di attivare e di fare leva su una serie di associazioni visive o musicali create certamente anche dall’industria cinematografica, dal pop, dalle sigle televisive ecc. Stiamo dunque parlando di orizzonti molto bassi, dove la musica viene sfruttata per vendere, eppure si tratta del background culturale di tutti, nessuno escluso. Sono sempre stato affascinato da tale fenomeno, dal modo particolare in cui due sole note sono in grado di creare un mondo, magari anche artificioso, o “appiccicoso”. Se mi si permette la citazione, potrei dire di essere interessato a ricercare il corrispettivo musicale della madeleine proustiana. Nelle mie composizioni ci sono accenni, link, rimandi – creati in maniera naturale e non calcolata – che sortiscono l’effetto di generare intere melodie nella mente di chi ascolta. Li percepisco e scelgo di non svilupparli, perché mi interessa quello che accade nella mente dell’ascoltatore.