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''La formazione del nuovo pubblico'': un convegno sabato 25 marzo ad Albenga


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11/01/2017
La cultura nell'economia italiana: il 13 gennaio un convegno a Bologna


05/12/2016
Impertinente Festival: il teatro di figura a Parma, dal 7 all'11 dicembre


07/10/2016
Master in imprenditoria dello spettacolo, Bologna, anno accademico 2016-2017


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Infanzia e città a Pistoia, dal 24 settembre al 5 novembre 2016


03/09/2016
Dalla Cultura alla Scuola: ''Cosa abbiamo in Comune'', il 7 settembre a Bologna


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Electro Camp – International Platform for New Sounds and Dance, a Forte Marghera dal 7 all'11 settembre


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DIALOGHI CON GLI ARTISTI > Il palcoscenico non è mai stato un luogo sicuro. Conversazione con Ivo Dimchev
Dal 28 al 31 ottobre 2016 si è svolta la XXIII edizione del festival Crisalide, a Forlì, ideato e curato da Masque Teatro. In quella occasione, attraverso il progetto "Conversazioni scritte", sono state prodotte una serie di interviste con gli artisti in programma con il desiderio di porsi, direttamente e non, una domanda di fondo: perché il teatro? Continuiamo a parlare del teatro, della danza, della performance in termini di differenza, misurando la possibilità che quello della scena sia uno spazio di alterità, di contraddizione, di rivelazione. Sono ipotesi ancora in campo? Attorno a questo spunto si sono costruite conversazioni che hanno ovviamente anche cercato di discutere delle poetiche dei singoli artisti, e degli spettacoli del festival.
Le interviste sono a cura di Lorenzo Donati in collaborazione con Jessica Imolesi.




Come nasce il lavoro che presenta a Crisalide, Icure?

Ognuno dei miei lavori nasce in un modo molto diverso dagli altri. A volte mi capita di imbattermi casualmente in un tema e di incorporarlo al mio lavoro, cerco di bilanciare diversi approcci. Se produco un lavoro molto organizzato, coreografato e preciso, di solito subito dopo vado nella direzione contraria, verso qualcosa di più confuso, di meno controllato. Le ragioni sono diverse, spesso personali.
Icure è arrivato dopo due spettacoli collettivi, probabilmente avevo bisogno di provare a me stesso che potevo ancora stare bene da solo. Per un anno intero ho cercato di affrontare il concetto di salute, ma pensavo che sarebbe stato assurdo mettere in scena una performance curativa, di solito il mio lavoro è considerato aggressivo, decostruttivo, addirittura distruttivo... una bella contraddizione realizzare un lavoro sulla cura! Il solo tema era già una sfida. Sono convinto che la contraddizione abbia un grande valore drammaturgico, perché mette insieme elementi che solitamente non sono familiari l’uno all’altro. Dallo scontro, dall’inquietudine può nascere qualcosa di diverso da ciò che ci viene in mente intuitivamente, qualcosa di non calcolabile. Ho bisogno sempre di confrontarmi con elementi disturbanti, che non mi sono familiari, per creare lavori più efficaci.

A cosa fa riferimento, quando parla di salute?

Si tratta nel mio caso di un “prendermi cura” e mi interessava capire come farlo insieme al pubblico senza snaturare la mia poetica. All’inizio mi sono posto alcune domande: quello che sto facendo è davvero positivo, è davvero curativo? Come può essere letto nella direzione di una potenziale cura e avere un effetto positivo? Come un particolare movimento, un suono, un testo possono essere percepiti in questo senso? Mi sono reso conto dell’esistenza di molti tabù legati a un’idea di “positività” e alla salute, tabù che tutti avvertiamo. Ci sono moltissimi elementi che escludiamo dal contesto della positività e della salute e che di conseguenza ci diventano invisi. Nel momento in cui vogliamo stare bene ci ritroviamo circondati da nemici, così che sentirci positivi e sani diventa un’esperienza negativa, iniziamo ad avere paura ed essere aggressivi. Ho dunque deciso di lavorare sull’allargamento di una zona sempre più stretta, in cui ci possiamo prendere cura di noi stessi. Sarebbe stato un lavoro molto disonesto se fossi rimasto all’interno della cornice di valori che ci viene data dalla famiglia, dalla scuola, dai media, dalla scienza. A metà del lavoro ho iniziato a focalizzarmi sui tabù, per cercare di accettarli e incorporarli come materiale da cui estrarre energia curativa. Questo si è immediatamente riflesso sulla drammaturgia, in particolare sul primo atto della pièce che ruota attorno alle aspettative che tutti nutriamo rispetto alla positività e alla cura. Nella seconda metà ho iniziato a introdurre i tabù come elementi curativi: la sessualità, la sporcizia, la violenza diventano fonte di cura, veicoli di energia.

Come avviene fattivamente il processo curativo?

Con l’idea della cura sono nate le Icure card. Piccole tessere in cui gli spettatori scrivono ciò che vogliono curare. Se vuoi guarire ti devi focalizzare esattamente su quello che vuoi curare. Sulle Icure card le persone indicano organi, persone che vogliono curare, situazioni della loro vita ecc. Affinché possa avvicinarmi a un livello così personale devo essere molto più chiaro e preciso. Dal momento che si tratta di questioni molto personali è facile ricevere un rifiuto da parte del pubblico. Specialmente quando inizio a esplorare i tabù, la performance può diventare molto disturbante. Occorre fidarsi per lasciare qualcuno mettere sotto sopra materiale così personale. Quando esploro i tabù e propongo una prospettiva completamente diversa con la quale affrontarli, devo essere molto preciso e chiaro, altrimenti la gente può considerarlo sporco, perverso, impedendo la guarigione. Non ho cambiato totalmente i miei mezzi espressivi, il mio linguaggio, ma credo di essere diventato più chiaro.
Continua a essere una pièce, che tuttavia permette alla gente un cambio di prospettiva. Qualcuno la può trovare estremamente naif, uno scherzo drammaturgico, ma credo sia più di questo. Ho rivisto diverse volte le pièce con le Icure card. Nel momento in cui ho iniziato a guardarla dal punto di vista curativo, ho smesso di giudicarla da una prospettiva estetica, che ai miei occhi l’avrebbe resa inaccettabile. Ho cercato di levare il filtro estetico che culturalmente tutti abbiamo e col quale giudichiamo una performance. Le Icure card permettono, almeno per quanto mi riguarda, di mettere da parte il filtro delle aspettative estetiche e di iniziare a leggere a un livello energetico, subconscio. Icure sposta lo spettatore dalla maniera usuale in cui si guarda una performance a una strana prospettiva curativa. A volte le persone si arrendono e si godono lo spettacolo come pura fonte di intrattenimento. Altri rimangono delusi, mi affidano qualcosa di personale e si aspettano di essere curati in un modo preciso. Non succede spesso ma a volte ho l’impressione che qualcuno senta che mi sto prendendo gioco di lui o dell’intera questione perché uso un vocabolario grottesco. Posso ridicolizzare un tema in modo da decostruirlo, ma non è mia intenzione mancare di rispetto al pubblico. Vorrei incoraggiare le persone a non essere così serie. Non credo esista nulla di cui non sia possibile ridere e prendersi gioco. Impedirselo significa avere una visione molto limitata e non credo sia una posizione corretta.
Non è un’esperienza piacevole, non è facile cambiare prospettiva su qualcosa che si è guardato allo stesso modo per tutta la vita. Anche per me non è facile. Continuo a esserne colpito in modo molto primitivo, emozionale, fisico. Credo che richieda molta pratica, ma la performance vuole aprire un piccolo spiraglio dal quale guardare in una maniera diversa a elementi disgustose, orribili o al di fuori della sfera del positivo. A me il lavoro ha aperto una porta, non sono ancora entrato del tutto, ma so che c’è uno spazio là dentro cui posso accedere se lo voglio davvero, ma poi è questione di scelta.

Mi pare che il suo procedere ci metta di fronte a immagini con un’alta dose di ambiguità.
Penso alle figurazioni di
I-On, visto in Italia nel 2012...

In I-On sono stato guidato dalle intenzioni dell’autore delle sculture che “indossavo” in scena, Franz West. Lui stesso mi ha chiesto di lasciare libere le sue creazioni, di non caricarle di significato. Ho  provato a mantenerle astratte, processo praticamente impossibile, perché il cervello vuole leggere,  proietta immagini. Ho tentato di percorrere un margine, dunque ho abitato un’ambiguità, è vero.  Come dicevo, in Icure invece sento la necessità di essere molto chiaro, altrimenti le persone  possono arrendersi.

L’improvvisazione è un procedimento chiave nella sua poetica...

A volte. In realtà tendo anche a fissare molto, a costruire partiture. In I-On ma anche in Icure tutto è scritto, non cambio mai il testo. I miei spettacoli musicali, invece, sono basati sull’improvvisazione. In generale se produco una pièce particolarmente scritta quella successiva tenderà al suo opposto. Nel lavoro P project chiedo agli spettatori di improvvisare alcune azioni, partendo da un elenco di parole con la p: poesia, pianoforte ecc. fino a scene più impegnative in cui chiedo esplicitamente azioni che mimano l’amore e il sesso. Non c’è nulla, costruisco solo la cornice e non ho nessun controllo su quello che succede. Io sono molto a mio agio quando compongo, quando scrivo coreografie, eppure in P project volevo che tutto fosse aperto, non so se le persone accetteranno le 2proposte, come le declineranno. Potrebbe darsi che nessuno si presenti alla scena di sesso, dunque cosa facciamo? I-On è un assolo, e come tutti miei assoli tutto è scritto. Nella musica, come dicevo, improvviso costantemente, anche perché ho sempre creduto di non avere la necessaria tranquillità, la fiducia per essere preciso tanto quanto posso esserlo nella performance. Recentemente ho prodotto un concerto con alcune canzoni estratte dai miei lavori, circa quindici, venti brani. A livello compositivo tutto è estremamente preciso, anche l’esecuzione non varia, è sempre la stessa. È stata una grande sfida per me. Adesso mi sento più sicuro anche rispetto alla precisione musicale, anche se non sono un musicista professionista, non sono un cantante, nonostante io ami molto l’esplorazione vocale. Vorrei essere più stabile come musicista, comporre qualcosa e prendermene cura, rispettarlo. Si è aperta una nuova fase per me, tale ripetizione in ambito musicale mi permette di esplorare tonalità più delicate. Solitamente la mia energia ha una intensità spinta, sto dunque imparando a essere più gentile, almeno dal punto di vista musicale. Come vedete amo molto spostarmi da una parte all’altra, mi piace muovermi. Porto in giro diverse performance nello stesso tempo, mi capita in una replica di mettere in campo una gentilezza energetica mentre il giorno dopo sono energico e violento. Pratico la diversità, come artista contemporaneo mi tradisco spesso e per questo mi ritengo un privilegiato.

A proposito del suo lavoro Fest (2013) ha dichiarato di provare un «colpevole amore per il
teatro»...


Mi concedo molta libertà di espressione, posso essere poetico, astratto, frammentato, posso mescolare contesti e stati della performance e anche concezioni artistiche fra loro distanti. È un approccio post-drammatico che mi dà molte possibilità, ma è anche una sfida perché l’omogeneità va costruita a partire dai frammenti. Ciò considerato, in un dato momento ho avvertito l’esigenza di confrontarmi con un testo drammatico convenzionale, strutturato con i personaggi che dialogano, Fest, appunto. Ho scritto il testo e ho fatto audizioni per gli attori. Solitamente lavoro mettendo insieme diversi elementi, mescolando monologhi, poesie, canzoni. Fest è un testo teatrale, io amo il teatro. Volevo focalizzarmi di più, darmi un limite. Tutto è nel testo, tutto è nella storia. Nel 2015 ho prodotto Operville, un’opera sperimentale dove mi sono imposto di non usare testi. Negli ultimi anni mi sono trovato molto a mio agio nell’usare testi in scena, dunque mi sono tolto questa opzione, tentando di approfondire la complessità musicale, sviluppando una relazione più profonda a livello sonoro. Credo sia necessario che, come artisti, ci imponiamo dei limiti. Nessuno, tranne noi stessi, può farlo. Infatti forse un giorno smetterò di cantare, alcuni amici sostengono che io canti troppo spesso, dunque sto aspettando il momento giusto per impormi di non cantare. Per me è naturale, quando non so cosa fare mi metto a cantare, quando ho un problema con un testo in scena inizio semplicemente a cantare.
Per tornare a quanto stavo dicendo, penso sia fondamentale darsi limiti, soprattutto se si vuole espandere la propria sintassi, il proprio linguaggio da un punto di vista drammaturgico. Oggi è possibile fare tutto, vedo molti performer in scena che sono contemporaneamente cantanti, danzatori, attori, artisti visuali, scrittori, poeti. Va bene, ma a volte ho la sensazione che sia troppo facile, come se non si andasse a fondo in nessuna di queste discipline, perché quando si va a fondo solitamente ci si annoia. Anche quando l’approccio è concettuale, dunque quando il limite corrisponde a una scelta drammaturgica, accade che non si vada davvero a fondo. Per questo è necessario imporre un limite su un piano orizzontale, così da compensarlo con un approfondimento verticale, dunque linguistico.

Lei lavora a Bruxelles e Sofia, dove dirige due spazi performativi, ed è anche molto attivo
come insegnante. Di che teatro abbiamo bisogno, oggi?


Non vedo tantissimi spettacoli, ci sono mesi in cui sono spesso in tournée e fatico a fermarmi oltre il tempo necessario alle mie repliche. Ho più spesso a che fare coi problemi concreti dei miei studenti, problemi performativi che aiuto a risolvere. La mia preoccupazione è che la scena stia diventando sempre più un luogo in cui ci si sente a proprio agio. Il mondo non è il luogo del comfort, così come non lo sono la vita, le relazioni interpersonali. Perché mai allora il teatro dovrebbe invece essere un luogo dell’agio? In questi ultimi anni ho visto molti spettacoli che considerano il palcoscenico come uno spazio sicuro. Per me non lo è mai stato. Forse è necessario prendersi più rischi, ma rischi con se stessi, non pensando solo al pubblico. Ho visto molte proposte performative che nello sfidare gli spettatori non mi pare avessero lo stesso grado di messa in discussione rivolto internamente, al proprio fare artistico. Questo è un problema, se si sfida qualcuno ma non ci si mette in discussione si rischia l’arroganza. Dobbiamo essere dentro alle sfide, alle discussioni, fare parte delle contraddizioni che vogliamo scatenare. Gli spettatori chiedono sempre di più e mi pare che stiamo rischiando di non soddisfarli più, con il teatro. La complessità dello “spettacolo” nel quale siamo immersi è così densa, sfaccettata, multidimensionale che il linguaggio teatrale (in senso ampio) rischia di non essere all’altezza. Un’ora di Facebook inerisce l’estetica, la drammaturgia ed è interattiva, tocca questioni legate alla politica, alla cultura, all’intimità... non è meglio che vedere qualcuno masturbarsi in scena per un’ora? Forse però sono troppo pessimista.

Dialoghi con gli artisti. Progetto a cura di Lorenzo Donati in collaborazione con Jessica Imolesi.
Intervista realizzata al Teatro Félix Guattari (Forlì), 30 ottobre 2016
         

FESTIVAL

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Planetarium
Osservatorio sul teatro ragazzi

14 - 22 ottobre 2017
Vie Festival 2017
Laboratorio di critica e giornalismo

giugno 2017
Futuri Maestri
Laboratorio Futuri giornalisti

28-31 ottobre 2016
Crisalide
Perché passi un po' di caos libero e ventoso

ottobre 2016
Vie Festival 2016
Arti sceniche internazionali e italiane

22 settembre - 2 ottobre 2016
Contemporanea Festival 2016
Le arti della scena

ottobre 2015
Vie Festival 2015
Arti sceniche internazionali e italiane

1-4 ottobre 2015
Crisalide
Non è successo niente, è ciò che stiamo diventando

25 settembre - 4 ottobre 2015
Contemporanea Festival 2015
Le arti della scena

Febbraio - aprile 2015
Nelle pieghe del Corpo
Virgilio Sieni, Bologna

ottobre 2014 - marzo 2015
Festival Focus Jelinek
Festival per città

9-25 ottobre 2014
Vie Festival 2014 Modena___Emilia
Arti sceniche internazionali

10 - 20 luglio 2014
Santarcangelo · 14
Festival internazionale del teatro in piazza

12 - 21 luglio 2013
Santarcangelo · 13
Festival Internazionale del Teatro in Piazza

aprile 2013
Pinocchio della non-scuola
Immagini a cura di Osservatorio Fotografico, note a margine su Pinocchio

5-13 ottobre 2012
Tempo Reale Festival
Ricerche musicali contemporanee

14 - 23 luglio 2012
SANTARCANGELO •12
Festival internazionale del teatro in piazza

Primavera 2012
Vie Scena Contemporanea Festival
Arti sceniche internazionali

Marzo 2012
BilBolbul 2012
fumetto, illustrazione, disegno

ottobre 2011
Vie Scena Contemporanea Festival
Teatro internazionale a Modena, Carpi, Vignola e limitrofi

Settembre 2011
Arca Puccini - Musica per combinazione
Rock indipendente italiano e internazionale