Nel creare pitié! Alain Platel e Fabrizio Cassol hanno tratto spunto dalla Passione Secondo Matteo di Bach, per sviluppare un lavoro che fin dai primi istanti dichiara la propria complessità e ricchezza. Lo spazio si riempie di corpi pulsanti in uno spasmo di emozioni indescrivibili, che si susseguono sullo sfondo del dolore della madre di Cristo. Interrogarsi sul senso profondo della compassione diventa il motore di uno spettacolo in cui ogni movimento dei danzatori è magistralmente intrecciato con le musiche elaborate dagli Aka Moon di Cassol, come in un unico organismo vivente. Anche nei diversi periodi di silenzio è sempre lo stesso nodo in gola a parlarci di quanto l’umanità intera sia in cerca di una divinità nei confronti della quale si avverte il peso di un senso di colpa. O forse si tratta solo della ricerca di una sacralità perduta, avidamente e disperatamente consumata in corpi che si scrutano, si spogliano, si uniscono e si rivestono istericamente, si scontrano appellandosi a tale contatto come se non esistesse altro modo di comunicare. Un Cristo nero indossa una maglietta con il volto di Gesù, quasi un santino desunto, logorato da una religiosità popolare, e lancia la propria voce di controtenore che rende ancora più magnetica la sua figura. Un’insolita trascendenza si trasmette anche alla scenografia, distribuita in una spiccata dimensione verticale. Le indubbie abilità vocali della Zavalloni e Claycomb uniscono la dimensione lirica al sapore di un’Africa magica, enfatizzando ulteriormente la nostalgia per un’origine perduta, probabilmente irrecuperabile, della quale rimane solo un’insaziabile sete.