Un'impressione si fissa nello sguardo. Figure multiformi si estendono in appendici animalesche, le musica ne riveste i movimenti: l'immagine e il suono ci attraversano e lasciano un segno, un contorno, un ritaglio di luce. Le anime di Dewey Dell sono Teodora, Agata, Demetrio Castellucci ed Eugenio Resta. Il loro percorso è segnato da una collaborazione intensa, che dà vita a lavori raffinati di grande forza visiva, da cui emerge il carattere personale della ricerca scenica. A Modena abbiamo incontrato Teodora, Demetrio ed Eugenio.
Vorrei parlare di à elle vide e di Kin Keen King. Come sono nati che rapporto esiste tra loro?
Teodora - à elle vide è nato nel 2007 ed è il nostro primo lavoro. In scena ci sono due figure, due animali che si presentano attraverso una danza. Come indicato nel titolo stesso, la relazione che c'è tra queste due figure è una relazione vuota, è come se la danza di ciascuna "donna-animale" fosse una dedica per l'altra. Kin Keen King è la nostra seconda creazione, quella che ha stabilito la nostra identità di gruppo e ci ha fatto capire che volevamo proseguire insieme. In questo caso abbiamo sperimentato un modo nuovo di lavorare, scegliendo un tema ben preciso da cui partire. Ci interessava lavorare sull'idea di regalità e su tutto ciò che le ruota attorno, sia nella sfera dell'immaginario infantile legato alla fiaba, alla figura del re nella grande reggia, agli attributi regali come il trono e lo scettro, sia nella sfera della contemporaneità: nella prima fase del lavoro, infatti, ci siamo spesso soffermati sulla figura del dittatore, che porta con sé sfumature completamente diverse. Queste sono state le idee di partenza che il lavoro ha poi sviluppato e trasformato nel corso della realizzazione. Volevamo capire cosa poteva significare per noi questo concetto. La regalità può essere rappresentata da una montagna, perché una montagna ha qualcosa di imponente, così come da una statua di Zeus. Se io vedo un insetto che si muove con eleganza, posso dire che per me esprime regalità. Grazie a queste piccole annotazioni sono state fatte le scelte per la coreografia, per le luci e per la scenografia stessa, che ha un ruolo fondamentale ed è molto più complessa rispetto alla semplice camera nera di à elle vide. Abbiamo voluto lavorare su tutti gli aspetti della messa in scena: all'inizio è stato come spingere tutti i canali allo stesso livello di intensità.
Eugenio - Ci abbiamo messo molto, poi, a trovare un equilibrio. Avevamo creato un muro uniforme e siamo dovuti scendere nel dettaglio per recuperare un disegno, anche tornando indietro e modificando alcune cose. Abbiamo lavorato molto, è stata una pratica molto intensa.
Demetrio - Per quanto riguarda le musiche, dal primo al secondo lavoro il processo di composizione è cambiato completamente. Prima di tutto è cambiato il rapporto tra noi rispetto al lavoro. Per à elle vide Teodora mi aveva chiesto un preciso ritmo, utilizzando alcuni esempi di ispirazione per una partenza che legasse coreografia e musica. Invece nel secondo lavoro è come se tutto fosse nato da tutto, la musica con l'idea della scenografia e della coreografia, per un insieme più compatto. Nel primo lavoro il rapporto tra la coreografia e la musica è diretto. C'è un rapporto molto diretto anche in Kin Keen King, ma è come se il suono nascesse dall'atmosfera creata dalla scenografia, come se quella musica non potesse suonare in nessun luogo, se non in quello per cui è stata creata. In à elle vide il suono è indipendente dallo spazio, ma dipendente dal movimento, mentre in Kin Keen King la musica nasce dallo spazio, dalla visione dello spazio: è una risposta all'ambiente in cui le figure si muovono.
Da dove arrivano, per Kin Keen King, i riferimenti a Moby Dick?
Teodora - Quando si pensa alla regalità, la prima cosa che viene in mente è la malinconia. Il re è un essere totalmente isolato all'interno di un apparato incredibile. Mentre eravamo alla ricerca di spunti, è stato per me immediato collegare la regalità alla figura della balena, e di conseguenza alla suggestione letteraria di Moby Dick. Per quanto mi riguarda, a livello molto intimo, Kin Keen King ha a che fare con il marino, anche se in scena non ci sono dei chiari riferimenti a questi temi.
Demetrio - Melville scrive che «tutte le cose nobili hanno un'ombra di malinconia». L'immagine della balena richiama nobiltà e tristezza, basta pensare alla sua figura, al suo canto: è una creatura spaventosa, ma ha anche un lato molto fragile, estremamente malinconico.
C'è una differenza tra la qualità delle figure nei due lavori?
Teodora - Le figure, in rapporto alle persone, sono tutte molto simili: ognuno di noi crea un personaggio con un preciso meccanismo che gli è proprio. Se devo pensare a un movimento per Eugenio, è ovvio che non sarà mai un movimento che potrei proporre ad Agata, o a me stessa. In questo senso il meccanismo individuale collega tra loro le figure. Allo stesso tempo, però, sono nettamente diverse perché, se è vero che in à elle vide c'è un lavoro che definirei più grafico, ortogonale, Kin Keen King è uno scarabocchio, una macchia di inchiostro.
Demetrio - In Kin Keen King le figure hanno più storia, come se prima di comparire sulla scena avessero già un loro passato di personaggi. Da questo punto di vista sono molto diverse da quelle di à elle vide, sono più cariche di avvenimenti passati e di possibilità future, sono più ingombranti.
Possiamo dire che hanno una dimensione in più, la profondità?
Demetrio - Sì, una profondità che è anche temporale.
Teodora - L'ambiente è talmente ricco che ciò che avviene non è una semplice presentazione di figure come in à elle vide, in cui i personaggi sono come cartoni animati. Credo che chi si trovi ad assistere a Kin Keen King per la prima volta sia portato a chiedersi da dove vengano e cosa facciano le figure in scena. I gesti che abbiamo ricercato sono gesti fuori dal comune, ma fanno parte della quotidianità dell'universo in cui vivono. C'è un'idea del tempo che è come un'eco, si avverte anche nella musica.
Demetrio - In à elle vide la musica era un vestito attillato per la coreografia, pur non essendo totalmente coessenziale al movimento. In Kin Keen King la musica nasce dalla stanza neoclassica riprodotta in scena, dalla polvere che trattiene sulle pareti. Non ci interessava una coreografia che si sposasse perfettamente con il suono a livello ritmico, ma volevamo creare uno stato emotivo complessivo. è paradossale il fatto che io senta la musica molto legata alle figure, anche se non ha un legame preciso con i movimenti. Forse perché è un legame più difficile da trovare, più intimo.
Che rapporto avete con la materia, con la pratica manuale?
Teodora - E' un rapporto stranissimo. Quando si disegna tutto sembra funzionare, in fondo basta una gomma per cancellare e tutto si risolve. Per passare alla realizzazione si attraversano molte fasi e a volte si rimane stupiti di quanto il risultato sia diverso e migliore del disegno iniziale. Alla fine la realtà vince sempre. C'è un lato molto divertente del lavoro, soprattutto nella ricerca del metodo più adatto per realizzare qualcosa. In Baldassarre c'è una sorta di mano-foglia che Eugenio ha costruito in una notte con il cartone. Per Kin Keen King è stato importante che fosse proprio Eugenio a mettere insieme le parti del suo costume, in modo da conoscerne bene la struttura e il peso, per possederlo già prima di indossarlo. Penso sia fondamentale lavorare da soli sui propri oggetti e spero che questa abitudine che abbiamo non si perda nel tempo.
Eugenio - Abbiamo continuamente una relazione concreta con gli oggetti, ma è una relazione elementare. Si tratta di cercare i materiali, di lavorare per realizzare un'intenzione. La scenografia di Kin Keen King è molto semplice, costruita con dei teli dipinti.
Voi lavorate sempre insieme e le vostre creazioni nascono da un amalgama di idee. Avete comunque dei ruoli all'interno del gruppo?
Teodora - Sì, anche se è difficile stabilirlo con precisione. Certo, Demetrio si occupa principalmente della musica, Eugenio della scenografia, delle luci e dalla cura degli spazi, io della coreografia. Agata, però, che non ha un ruolo preciso, è una presenza fondamentale. L'importanza non sta solo nel fare, ma nell'avere uno spessore. Tutti possono entrare in merito di tutto, non ci sono limiti. I nostri ruoli hanno un carattere estremamente sfumato.
Il vostro rapporto con lo spettatore sembra essere basato sulla percezione sensoriale, su una vera e propria "impressione" dell'immagine sui sensi. Come gestite questo aspetto del lavoro?
Teodora - Mi capita spesso di leggere di spettacoli che hanno come obiettivo quello di mettere in crisi lo spettatore. Sono cose per me superate: quando mi siedo in platea non penso mai che quello che vedo mi possa mettere in crisi in quanto spettatore. Il pensiero dello spettatore arriva per noi successivamente, mai all'inizio della creazione. Ovviamente realizziamo qualcosa perché venga visto, ma non pensiamo allo spettatore come a un cervello, ma come a un essere sensibile, che ha vista udito e olfatto. Presentiamo un lavoro che deve essere guardato: può anche avere un pensiero complesso dietro, ma conta fino a un certo punto. Sarebbe possibile assistere ai nostri lavori senza leggere nulla prima di entrare in sala, anzi, dovrebbe essere così.